giovedì 24 aprile 2008

25 aprile:
per una memoria accettata e rispettata

“La pacificazione nazionale non può essere prospettata agli altri se non comincia da noi e se non si evidenzia in tutte le nostre parole, in tutte le nostre iniziative responsabili… se ne sono pienamente convinti tutti coloro che sono sempre stati e continuano ad essere vicini al Movimento Sociale Italiano… se ne sono pienamente convinti coloro che si onorano di aver militato nella Rsi, coloro che hanno fatto la dura scelta dei campi di concentramento ‘non collaboratori’, coloro che hanno subito galera ed epurazioni. E’ difficile, è addirittura impossibile che chi ha pagato di persona per una causa morale e nazionale, non sia oggi pienamente disponibile per pagare di persona per una causa altrettanto morale e nazionale.”
Così - nel lontano 1972 - Giorgio Almirante parlava di pacificazione nazionale che definiva “suprema esigenza morale”. Parole ancora attuali, perché nulla è cambiato. Dopo 36 anni - ed a 63 anni dalla fine della guerra civile - una parte d’Italia festeggia ancora in pompa magna la ricorrenza del 25 aprile come anniversario della liberazione, festeggiando un’insurrezione minoritaria che influì ben poco sull’esito finale, una vittoria nazionale che non ci fu, un conflitto che gli stranieri vinsero per conto degli italiani, impegnati in una guerra fratricida. Eppure, il 48,9% degli italiani non sente questa data come festa nazionale ed il 21,5% non sa neanche cosa viene celebrato. (Sondaggio Ferrari Nasi & Grisantelli, 4 aprile 2008)
Un evento che si rivitalizza a ridosso delle sconfitte elettorali della sinistra, come già avvenne nel 1994, e questa volta, con la scomparsa dei comunisti dal Parlamento, la rabbia è tanta. “Bella ciao” e “Fischia il vento”, accompagnate dalle bandiere rosse e dai pugni chiusi verso il cielo, saranno le colonne sonore della rivincita dei 'trombati'. Una celebrazione che “non sarà mai una festa condivisa fino a che non si rimuoverà il suo lato oscuro e criminale, messo in luce da Pansa, circa le stragi e le bestialità commesse a guerra finita”. (Marcello Veneziani – Libero, 24 aprile 2008) Un lato oscuro e criminale sul quale si è aperto un piccolo scorcio di verità, un tragico capitolo di storia patria del quale non si sente parlare senza l’anacronistica retorica dell’antifascismo di ritorno.
Urge ritrovare la memoria, che non potrà essere condivisa, ma almeno accettata e rispettata reciprocamente. Serve favorirla ricordando con rispetto tutti i caduti della guerra civile. Con un’iniziativa che rischia di incontrare l’ostilità di entrambe le parti in causa: attraverso le testimonianze scritte dalle due parti in lotta, rendendo così onore a chi ha lottato ed è caduto in nome delle proprie Idee.

Da “Lettere dei condannati a morte della Repubblica Sociale Italiana”
«…ieri sera dopo che mi è stata comunicata la notizia, mi sono disteso sul letto e ho provato una sensazione che già avevo conosciuto da bambino: ho sentito cioè che il mio spirito si riempiva di forza e si estendeva fino a divenire immenso, come se volesse liberarsi dai vincoli della carne per riconquistare la libertà. Non ho alcun risentimento contro coloro che stanno per uccidermi perché so che non sono che degli strumenti scelti da Dio che ha giudicato sufficiente il ciclo spirituale da me trascorso in questa vita presente. Cara mamma termino la lettera perché il tempo dei condannati a morte è contato fino al secondo. Sono contento della morte che mi è destinata perché è una delle più belle essendo legata a un sacro ideale. Io cado ucciso in questa immensa battaglia per la salvezza dello spirito e della civiltà, ma so che altri continueranno la lotta per la vittoria che la Giustizia non può assegnare che a noi.»
Franco (18 anni)

Da “Lettere dei condannati a morte della Resistenza”
«Muoio per la mia patria. Ho sempre fatto il mio dovere di cittadino e di soldato. Spero che il mio esempio serva ai miei fratelli e compagni. Iddio mi ha voluto, accetto con rassegnazione il suo volere… Non piangetemi, ma ricordatemi a coloro che mi vollero bene e mi stimarono. Viva l’Italia. Raggiungo con cristiana rassegnazione mia mamma che santamente mi educò e mi protesse nei vent’anni della mia vita. L’amavo troppo la mia patria: non la tradite e voi tutti giovani d’Italia seguite la mia via e avrete il compenso della vostra lotta ardua nel ricostruire una nuova unità nazionale. Perdono a coloro che mi giustiziano, perché non sanno quello che fanno e non pensano che l’uccidersi tra fratelli non produrrà mai la concordia… i martiri convalidano la fede in una Idea. Ho sempre creduto in Dio e perciò accetto la sua volontà.»
Giancarlo (20 anni)

8 commenti:

Anonimo ha detto...

Aprile. Venticinque. Liberazione quale dogma laico della tanto sbandierata religione civile della resistenza. Resistere contro un invasore (terribile) per incollare la propria etichetta alle uniformi di altri invasori: i veri “liberatori”. Si festeggia. Per cosa ? Sono forse stati i ventimila Italiani fascisti o presunti tali, cattolici, semplici critici e “figli di nessuno” un magnifico corpo sacrificale in un rito di purificazione necessario ? Per la libertà, la democrazia, la pace e la pacificazione ? No: il gelido e consapevole contrario affogato nel sangue della cieca vendetta, barbaramente scagliata contro vittime sempre inermi, spesso innocenti ed incolpevoli per qualsiasi giustizia. I suicidi, a migliaia, delle donne stuprate dai soldati Alleati; i furti, le torture e le violenze indicibili commesse dagli stessi. No, non c’è giustificazione, né fine legittimante. Appunto, quale fine ? Col senno di poi gli effetti di quell’epopea hanno smentito qualsiasi ipotesi e tesi, di buona e di mala fede. Di democrazia propriamente detta, infatti, non si può parlare, giacché solo il rito formale dell’elezione salva le apparenze. Il simulacro della democrazia rappresentativa, smacchiata da qualche tempo di ogni ipocrisia, ha perso qualsiasi pretesa di rappresentatività. La libertà di pensiero è stata saccheggiata dal sistema dei mezzi di comunicazione, che, lungi dall’essere plurale, libero e critico, pare persino peggiore negli effetti dell’azione propagandistica del fu Goebbels, perché mascherato, dunque subdolo. Si è imposto pertanto un “governo” tanto odioso quanto invisibile: quello delle minoranze, ovvero il contrario della democrazia. Passando rapidamente in rassegna aspetti più concreti si potrebbe facilmente rilevare come la politica monetaria (e gran parte di quella economica ) sia appannaggio dei tecnocrati di Bruxelles, dunque “sciolta” dall’interesse popolare. Si dovrebbe, inoltre, aggiungere che la politica estera e molto spesso quella interna (leggi stragi, “Gladio”, missioni di “pace”, basi militari) vengono protocollate dagli USA. Nel 1968 “the whole world is (was) watching” la peste libertaria diffusa dal “Movimento dei movimenti” e sfortunatamente anche i “liberati” Italiani stavano guardando. Così il preludio della globalizzazione americana (come a dire continuità nell’invasione) spazzò via con l’ultima generazione cresciuta ed educata nel precedente regime (gente che ha innegabilmente ricostruito l’Italia, essendo artefice del boom economico degli anni ’60 ) i valori di una Tradizione millenaria. Liberazione ? Sì, ma dalla serenità e dalla solidarietà di una società che faceva della comunità la sua struttura portante; da un’identità forte, caratterizzante, protettiva di fronte alla modernità; da una gerarchia di valori che poneva la cultura in cima ed il denaro in fondo; da un mondo in cui il corpo di una donna aveva il senso sacrale di rendere immortale l’umanità; dai giorni in cui mangiare significava sfamarsi, crescere e non consumare; da un modello sociale (certamente contaminato da errori e contraddizioni ) ed approdare ad uno individualista per il quale i bambini e gli anziani sono zavorra di cui liberarsi con denatalità, aborto, ospizi;da anni in cui non era l'abbigliamento il motivo di vergogna, bensì il comportamento, poichè la responsabilità (anche quella penale) era personale, non collettiva; dal bel Tempo antico in cui sacrificarsi per un Ideale o per gli altri si traduceva con eroismo, non con stupidità. Allora, festeggiare cosa ? Non si fa festa dei morti e della Nostra cara vecchia Patria ammazzata.

Antonio Del Prete

Simone ha detto...

parole molto sagge.
Io non ho voluto scrivere nulla sul 25 aprile.
in compenso ho dedicato un articolo agli Indiani d'America che casualmente mi sono molto simpatici...

Anonimo ha detto...

Belle parole quelle dell'articolo sul blog, complimenti.
Ivan

articolo21 ha detto...

Bel post. Condivisibile.

Anonimo ha detto...

perfettamente daccordo sullla necessità di una memoria rispettata. Credo che dopo 63 anni sia ora di finirla con discorsi rettorici e trovare una data che dia modo di ricordare tutti i morti di qualunque parte. Morti che non sono da una parte giusta o sbagliata sono morti per qualcosa in cui credevano profondamente e pertanto sono da onorare, giusto citare Almirante che già molti anni fà sosteneva la pacificazione.Questa nostra aspirazione si scontra però con l'atteggiamento dei signori resistenti che vogliono sempre dare lezioni a tutti vedi il novello Catone il Censore "Cesa" che appunto censura Luca Romagnoli e tutti che censurano Ciarrapico ecc.ecc. basta questa nazione non avrà mai una pace vera se lor signori non la pianteranno di dare lezioni di "democrazia" a tutti.
La smettano specie ex e post e rifondatori comunisti non mi pare che siano il pulpito giusto per dare lezioni a nessuno.

Sergio ha detto...

Il rispetto per tutti i caduti mi trova completamente d'accordo.
Non è da confondere, però, con le idee.
Se, invece, si vuole equiparare i morti per equiparare le idee, allora non sono d'accordo.

Anonimo ha detto...

Caro Sergio, ma pensi che i partigini rossi combattevano per l'Italia democratica o per fare la rivoluzione del proletariato? Allora smettiamola di dire che i rossi ci hanno dato la democrazia. Senza l'influenza americana* la fine della Romania non ce la toglieva nessuno...

Articolo stupendo!

*non sono filoamericano.

Vale ha detto...

Ma senza i partigiani non ci sarebbe stato nessun 25 aprile...