mercoledì 28 maggio 2008

Urge una revisione

Domenica 11 maggio resterà una data memorabile. Dopo quasi vent’anni consecutivi di incontrastato dominio ai vertici del Movimento Sociale Italiano (appena una parentesi di Pino Rauti nel 1990/91) e di Alleanza Nazionale, Gianfranco Fini ha deciso.
«Non parteciperò più a riunioni di partito, non salirò più al mio ufficio di via della Scrofa se non per salutare gli amici» ed essendosi finalmente reso conto che «non siamo più figli di un Dio minore», ha preferito dedicare i suoi prossimi cinque anni a dirigere i lavori parlamentari a Montecitorio, recuperando dal dimenticatoio l’istituto delle dimissioni. Come per ogni addio che si rispetti, non è mancata una buona dose di commozione, riservata «agli amici che non ci sono più: Marcello, Luciano, Marzio, Almerigo, Nicola». Quelli che il Corriere della Sera ha definito il "Pantheon di Gianfranco". Cinque dirigenti missini di valore, che nessuno può aver dimenticato. Neanche io.
A cominciare dal triestino Almerigo Grilz, inimitabile vicesegretario nazionale del Fronte della Gioventù negli anni ‘80, che decise di abbracciare il giornalismo di guerra e morì in Mozambico nel 1987.
Partecipò attivamente al Centenario Mussoliniano, lasciando in eredità precise parole: «Indiscutibilmente un gigante della storia politica italiana, Mussolini ci ha lasciato qualcosa di immensamente grande. Un’Idea. Il fascismo, cioè il superamento di capitalismo e marxismo, non è morto con l’assassinio del suo fondatore.» Indicando la missione del partito: «Se è vero che noi siamo i portatori e i continuatori di quella idea, è questo il momento di rilanciarla, di farla vivere e pulsare nella battaglia quotidiana del nostro movimento… non basta proclamarsi continuatori del Fascismo a parole. Occorre esserlo con l’azione politica quotidiana, dimostrarsi degni di quanti seppero lottare e soffrire per il Fascismo, sessant’anni fa, fedeli sino alla scelta estrema della RSI.» Quindi, un’esortazione che suona come un monito per gli smemorati di oggi: «Non accontentiamoci di essere i custodi immobili dell’Idea: facciamola vivere e marciare, nell’Italia di oggi, verso il futuro.» (Trieste domani – febbraio 1983)
Impossibile dimenticare la mole imponente e la sagacia del perugino Luciano Laffranco, storico presidente degli universitari del FUAN, scomparso nel 1992. Fortemente legato all’idea di alternativa sociale: «La stessa crisi del comunismo dimostra che la ‘terza via’ che il Fascismo lanciò al mondo come superamento di capitalismo e collettivismo è la soluzione del problema sociale.» (Il Secolo d’Italia – 1990)
Tragica fine in un incidente stradale nel 1997 per Nicola Pasetto, leader del Msi e del FdG veronese, poi deputato di An. Spesso in lotta contro i soprusi dei vertici del partito, fu protagonista di una battaglia interna che per alcuni anni lo costrinse ai margini ed a realizzare una rivista con altri camerati scaligeri. Il mensile - diretto da Guido Girando - esprimeva l’opinione di una comunità, riportando senza firma molti articoli: «…tali aspirazioni tradite magnificamente accomunano vecchi e giovani camerati, veterani della Repubblica Sociale Italiana e militanti del Fronte della Gioventù, unitamente ad una vastissima schiera di appartenenti a quella ‘generazione di mezzo’ che, in questi ultimi anni, dal MSI si è allontanata delusa.» (Dex – luglio 1986)
Apprezzato anche fuori delle mura missine, Marzio Tremaglia morì nel 2000 all’apice di una indimenticabile esperienza come assessore regionale alla cultura in Lombardia. Un faro per chi confidava di far uscire dalle secche e dalla penombra la ‘cultura anticonformista’, negli anni in cui si rifuggiva un certo tipo di assessorato perché qualcuno sosteneva che la cultura non portasse voti. Per nulla intimorito dal ‘politicamente corretto’, diede vita al Centro Studi sulla Repubblica Sociale Italiana: «Cadere nei luoghi comuni dell’antifascismo quando la revisione storica ci sta dicendo il contrario mi sembra un errore. Sono convinto che la RSI debba essere in gran parte ancora studiata e scoperta. Fu sicuramente necessaria a evitare guai peggiori agli italiani e fu animata da fermenti ed entusiasmi contro la morte della Patria in gran parte non ancora conosciuti. A parte il fatto che abiure e condanne non appartengono alla politica, il fascismo fu casomai autoritario, totalitari erano nazismo e comunismo.» (Lo Stato – 23 dicembre 1997)
Infine, un altro figura storica della gioventù missina. Basta dire Bologna e Giovane Italia ed il pensiero corre a Marcello Bignami, scomparso nel 2006. Approdato tardi a ruoli istituzionali, fece comunque in tempo a lasciare traccia. Nei primi anni Duemila, da consigliere regionale, motivando la sua astensione su un finanziamento ad un istituto storico resistenziale sottolineò che «ormai da una parte sempre maggiore di storici e ricercatori viene accreditata una versione dei tragici fatti accaduti nel 1943-45 diversa da quella accettata sinora. Anche in Emilia Romagna e' giunto il momento di eliminare i tratti agiografici di quel periodo e di capire perché vennero fatte scelte di un certo tipo, tutte, comunque, ispirate all'amore per la patria e la nazione.»
Qualche anno dopo, nel luglio 2005, presentò una proposta di legge per l'istituzione del “Giorno della Ricordanza” in memoria «delle vittime dell'odio ideologico nel periodo 1945-1948», indicando la data idonea nel 26 aprile, cioè il giorno che «ha segnato la fine della guerra civile e l'inizio di un periodo di pace che per una parte di italiani significò però terrore e morte.»
Niente da eccepire, il Pantheon finiano è degno di assoluto rispetto. Però, rileggendo quello in cui hanno creduto e ciò che hanno sostenuto senza riserve, mi sovviene un suggerimento. Presidente, prima che se ne accorgano in troppi e possa scattare l’accusa di appropriazione indebita, in linea con l’avvento di De Gasperi, al posto di Mussolini, nella sua classifica dei grandi statisti del ‘900, non sarebbe il caso di fare una seria revisione al Pantheon?

lunedì 26 maggio 2008

Nostalgia canaglia? Non sempre…

Non si tratta di semplice nostalgia per gli anni passati, ma dell’inevitabile effetto di un convegno al quale ho avuto la fortuna di partecipare. Ha risvegliato la memoria per alcune battaglie giovanili, quelle condotte all’insegna dell’autodeterminazione dei popoli. Erano gli anni in cui le storie più gettonate erano quelle dell’Irlanda e della Palestina. Soprattutto, ma non solo…
Popoli che lottavano per l’affermazione della propria Patria, della propria Identità, della propria storia e della propria cultura, della propria esistenza. Li sostenevamo idealmente, qualche volta in controtendenza rispetto al politicamente corretto. Per noi, idealisti militanti giovanili, costoro erano ribelli che lottavano senza tregua per la loro sovranità nazionale.
Oggi lo scenario internazionale è profondamente cambiato, ma l’autodeterminazione dei popoli resta un principio che deve essere difeso ed affermato. Ancor più oggi che contro i popoli, contro le identità nazionali si sta affermando il mostro del 'mondialismo'. Gli spietati teorici di questa strategia senza anima hanno disegnato un quadretto di pace e serenità, da conseguire grazie alla creazione di un ‘villaggio globale’, quello che la finanza mondiale considera indispensabile per la libera circolazione di merci, uomini e capitali. Non più stati sovrani con confini e leggi proprie, ma un unico stato mondiale. Un grande mercato senza cittadini, ma abitato da consumatori senza identità e cultura. Hanno disegnato per tutti noi un destino di omologazione, che inevitabilmente sancisce l’estinzione per quei popoli che ancora possiedono coscienza della propria specificità, che ancora non sono stati corrotti nell’anima, che si riconoscono in una storia con radici profonde, che respingono ogni assalto all’Identità, che non hanno alcuna intenzione di sottoporsi al volere dell’ideologia mondialista.
Occorre perciò colpirli e silenziare la loro storia. Occorre perciò piegarli al volere del pensiero unico e tacere della loro capacità di essere ‘ribelli’. Occorre vincerli per dimostrare che non c’è speranza.
Grazie a questo convegno ho conosciuto uno di questi popoli: i Karen, che in Birmania combattono una strenua lotta contro il governo centrale per non abbandonare la propria terra e per non perdere la propria identità. Ho conosciuto la Comunità Solidarista Popoli - nata a Verona nel 2001 - che coi suoi volontari, impegnati da anni in un concreto progetto umanitario, si è schierata apertamente nella lotta tra «Identità e Mondialismo, al fine di salvaguardare le particolarità culturali contro l’omologazione» (dal sito Comunità Popoli).
La vicenda birmana inizia nel dopoguerra, quando l’Inghilterra abbandona la sua ex colonia, che più tardi cade sotto l’influenza dell’Unione Sovietica. Si inaugurò così la via birmana al socialismo per la realizzazione del famigerato 'paradiso comunista'. Oggi, però, questo scenario rigidamente ideologico non è più attuale. Parlare ancora di dittatura comunista per il regime sanguinario di Rangoon risulta poco credibile e poco corretto. Come spiegano i volontari di Popoli, il regime birmano è diventato una narcodittatura, infatti la droga è voce fondamentale del suo bilancio economico: oltre all’eroina, ogni anno almeno 500 milioni di pastiglie di anfetamine varie sono destinate al traffico internazionale.
Un paese, sostenuto militarmente dalla Cina, che intrattiene remunerativi rapporti commerciali con multinazionali europee, israeliane e statunitensi, interessate soprattutto al profitto ed allo sfruttamento delle risorse energetiche del Paese. Facile capire perché il regime birmano perseguiti da decenni l’etnia Karen, peraltro indisponibile, per ragioni etiche, a piegarsi alla logica del mercato della droga. Sei milioni di persone che da migliaia di anni abitano quelle terre, che fanno gola agli affari del governo nazionale.
Sanità, istruzione ed assistenza sociale sono i settori che, a causa della feroce repressione del regime birmano, richiedono un urgente intervento. Perciò, Popoli raccoglie fondi da destinare all’acquisto di medicinali e di beni di prima necessità e fornisce, con almeno due missioni all’anno, concreta assistenza scolastica e sanitaria con la costruzione di scuole e cliniche mobili.
Lo sterminio di questo popolo avviene con il complice silenzio degli organismi internazionali, che oltre a produrre qualche documento cartaceo (a metà degli anni ’90 le Nazioni Unite hanno definito lo sterminio del popolo Karen “un genocidio lento ma inesorabile”) nulla hanno fatto di concreto.
Un dramma frutto perverso della supremazia che l’economia ha ormai conquistato sulla politica, che evidenza quanto sia grave la crisi della sovranità popolare e territoriale a vantaggio della sovranità del mercato e della finanza. Una politica non più in grado di governare questi fenomeni secondo interessi generali e valori condivisi, assolutamente impotente contro il tentativo di seppellire i popoli sotto l’egemonia dell’interesse di pochi. Un’agghiacciante crocevia per la realizzazione di un mondo unico, omogeneo, senza più differenze. Un mondo dominato da un solo e onnipotente supergoverno mondialista.
Le parole - prese in prestito da una lettera che Franco Nerozzi, presidente di Popoli, ha scritto a Hla Too (bambino/soldato karen di 12 anni) - suonano come un auspicio per tutti i popoli della terra: «…un giorno, potrò forse mostrare a mio figlio che è ancora possibile voltare le spalle alle schiere chiassose dei mercanti, ricordando, con orgoglio, di appartenere, da sempre, ad un'altra stirpe.»

giovedì 22 maggio 2008

Il ‘testimone’ era in 'buone mani'…

Il 22 maggio di vent’anni fa si spegneva Giorgio Almirante. Sicuramente un gigante della politica italiana con indiscutibili meriti, una figura tanto amata quanto discussa dentro e fuori del suo partito, il Movimento Sociale Italiano. Almirante fu tra i cinque fondatori che il 26 gennaio 1946 si ritrovarono nello studio di Arturo Michelini per dare vita al Msi. Con loro anche Giorgio Bacchi, Giovanni Tonelli e Pino Romualdi. Quest’ultimo - nativo di Predappio, vicesegretario nazionale del Partito Fascista Repubblicano durante la Rsi, a lungo presidente del Msi - altra figura storica missina, per una strana scelta del destino morì il 21 maggio 1988. In appena ventiquattro ore, il Msi perse due figure storiche, che vennero accomunate in un indimenticabile funerale celebrato a Roma il 24 maggio. Decine e decine di migliaia di persone - ordinate in un composto ma gigantesco corteo - accompagnarono i due feretri dalla sede del partito, in via della Scrofa, fino a piazza Navona, dove nella chiesa di Sant’Agnese fu celebrato il funerale.
Indimenticabile per chi, come chi scrive, insieme a tanti altri dirigenti e militanti del Fronte della Gioventù fece parte del servizio d’ordine, guidato e organizzato da un giovane Gianni Alemanno, da pochi giorni segretario nazionale del FdG. Indimenticabile come i ricordi sparsi che riaffiorano nella mente: i nomi scanditi a più riprese dalla folla, il ‘presente’ chiamato da Cesco Giulio Baghino e gridato all’unisono, l’Inno a Roma cantato a squarciagola da migliaia di italiani commossi, una selva di braccia tese.
Non è facile trovare le parole giuste per ricordare degnamente queste due figure. Meglio affidarsi a chi ha saputo dosare le parole in una circostanza tanto importante.
«Parlare di te, Almirante, e di te, Romualdi, è uno schianto. Uno schianto terribile, che ci soffoca il cuore, che ci prende alla gola. Ma è anche un onore che ci inorgoglisce fino alle lacrime. Perché qui, oggi commemoriamo due italiani, due grandi italiani, due italiani puliti, coerenti, coraggiosi, tenaci. Commemoriamo due maestri di vita e di pensiero, due esempi che non possono morire con la morte fisica dei vostri corpi. Voi, Almirante e Romualdi, siete dentro di noi. Appartenete a tutto questo popolo italiano che avete sempre amato, anche quando la legge della fazione lo ha diviso tragicamente, determinando ferite che voi volevate sanare e noi vogliamo sanare. Voi, Almirante e Romualdi, siete stati gli alfieri di questa Italia che ha incivilito il mondo, che ha versato il suo sudore e il suo sangue per onorare il lavoro fecondo e la tradizione gloriosa di questo vostro e nostro popolo, di quella Italia che ha dato al mondo sapienza, leggi, poemi, chiese, esplorazioni, cultura, arti.
Due alfieri di quella Italia che non cambia bandiera, che non si vende, che non rinnega, che non tradisce, che non offende; di quella Italia che guarda avanti, che crede nel proprio destino, che non rinuncia a vivere e a sperare; di quella Italia invasa, spezzettata, devastata, offesa, insultata, umiliata, calpestata dai barbari antichi e nuovi; di quella Italia che si ritrova, che si riscatta, che si riprende, che si rialza, che si rinnova; due alfieri di quella Italia dignitosa nella schiavitù, coraggiosa nella sventura, serena nelle avversità, clemente nella fortuna e misurata nella gloria. Un’Italia che voi ci avete insegnato per 40 anni ad amare, a considerare, come voi la consideravate, adorabile. No, Almirante, no, Romualdi, voi non morite, non potete morire. La vostra opera, la vostra vita sono il vostro messaggio, sono la vostra consegna a noi che, come ci avete sempre insegnato, non abbiamo paura di avere coraggio.
Tu, Almirante, questa tua e nostra Italia l’hai percorsa tutta come un apostolo instancabile dell’Idea che, con Romualdi, hai rialzato quando la sconfitta l’aveva gettata a terra. Le hai parlato con quella parola ineguagliabile che era un dono di Dio. Con quella voce dolcissima che mai potremo dimenticare. L’hai accarezzata con quegli occhi celesti e puliti che adesso, qui, ci guardano. L’hai attraversata tutta, villaggio per villaggio, città per città, contrada per contrada, valle per valle, per 40 lunghissimi anni di onore e fedeltà. Tu, Romualdi, l’hai segnata, questa Italia, con la passione incontenibile del tuo amore, con la forza del tuo carattere generoso, con la tenacia della nostra sanguigna terra romagnola.
Per 40 lunghissimi anni avete portato insieme, in alto, altissima, la bandiera stupenda e pulita della fedeltà alle radici del nostro popolo. Ci avete insegnato che un popolo senza radici non ha futuro, così come un albero senza radici muore. E noi vivremo, Almirante e Romualdi, vivremo per voi e con voi. Ve lo giuriamo col cuore gonfio di dolore e con l’animo colmo di fierezza per essere stati con voi nelle sconfitte e nelle vittorie. Sempre, in questi anni meravigliosi e terribili nei quali ci avete insegnato che le prove più difficili debbono e possono essere vinte. Voi, insieme, le avete vinte. Noi, insieme, le vinceremo. Saranno le vostre vittorie. Saranno le più belle, perché Dante, il tuo Dante, caro Almirante, ci ricorda che la grazia piove sul capo di chi combatte per meritarla. Ci avete consegnato un partito forte, orgoglioso, pulito. Ecco le parole, che tu, Almirante, hai scritto nel lontano 1974. “Noi siamo caduti e ci siamo rialzati parecchie volte. E se l’avversario irride alle nostre cadute, noi confidiamo nella nostra capacità di risollevarsi. In altri tempi ci risolleveremo per noi stessi. Da qualche tempo ci siamo risollevati per voi, giovani, per salutarvi in piedi nel momento del commiato, per trasmettervi la staffetta prima che ci cada di mano, come ad altri cadde nel momento in cui si accingeva a trasmetterla. Accogliete dunque, giovani, questo mio commiato come un ideale passaggio di consegne. E se volete un motto che vi ispiri e vi rafforzi, ricordate: "Vivi come se tu dovessi morire subito. Pensa come se tu non dovessi morire mai."
No, caro Almirante, il testimone non è caduto a terra. E’ in buone mani. In mani giovani, in mani forti, in mani che non cederanno. Lo porteremo avanti, avanti, avanti anche per te, anche con te. Perché tu, Almirante, perché tu, Romualdi, non ci lasciate. Voi restate fra noi, alla nostra testa, in piedi. Come sempre siete vissuti. Grazie per quello che ci avete consegnato. Grazie per quello che ci avete insegnato. Ciao Pino. Ciao Segretario.»

P.S. = Dimenticavo… è il testo integrale dell’orazione funebre pronunciata al termine dei funerali da Gianfranco Fini, allora segretario nazionale del Msi.

lunedì 19 maggio 2008

Giorgio Almirante: appropriazione indebita?

Tra pochi giorni, esattamente il 22 maggio, sarà il ventennale della morte di Giorgio Almirante. In tanti si apprestano a ricordarlo, ad inneggiare alla sua memoria, a farsene legittimi successori, a rivendicare il proseguimento di un cammino nel solco da lui tracciato. Questa corsa all’eredità non mi convince, soprattutto perché lui non può confermare la legittimità.
Per valutare se queste appropriazioni (soprattutto alla luce di alcune sconcertanti dichiarazioni, più o meno recenti degli ‘auto-eredi’) siano o meno indebite, utilizzo un sistema infallibile: mi affido alle sue parole.
Non quelle di uno dei tanti mirabolanti discorsi da lui pronunciati e scritti, facilmente accusabili di enfasi retorica.
Meglio ancora: una lettera che Almirante scrisse nel 1986 (a meno di due anni dalla morte) alla deputata missina milanese Cristiana Muscardini, riferendosi a tentativi di avventato 'superamento storico'.
Lettera pubblicata dal settimanale “Lo Stato” il 2 giugno 1998 e dalla quale mi pregio di stralciare questo passo: «Puoi stare certa che il mio ultimo respiro sarà fascista, nel nostro senso del termine. Perché, per me, per noi, si tratta della battaglia di tutta la nostra vita.»
Infine, autorizzava a sbattere la lettera «in faccia a chicchessia». Chissà se qualcuno dalle parti di via della Scrofa l’ha mai letta e meditata…

P.S. = Per giovedì 22, grazie alla mia dote di ‘conservatore’ (già ricordata nel post dell’ 11 maggio), è in serbo un’altra gradita sorpresa, sia per chi ha avuto la fortuna di conoscere ed ascoltare dal vivo Almirante, ma soprattutto per chi, troppo giovane, vive di fecondi ricordi… Un contributo per agevolare la riflessione sull'evoluzione (???) della Destra italiana.

martedì 13 maggio 2008

Sogno o son desto?

Solitamente prima di prendere sonno leggo i giornali, gli articoli rimasti in arretrato durante la giornata. Ieri, mi ha preso Morfeo e mi ha regalato un sogno. Mi ritrovo alla fine degli anni ’70, quando - preso dal sacro furore dell’Idea e spinto dal sacrificio dei martiri di Acca Larentia – decido di entrare in una storica sede cittadina del Fronte della Gioventù (organizzazione giovanile del Msi), iniziando a condividere con militanti giovani e meno giovani un’intensa e bella stagione di militanza giovanile durata oltre dieci anni. Il sogno raccontava di tante ore passate in sezione, di tante battaglie, di tante soddisfazioni, ma anche di tante delusioni, spesso determinate dalle scelte dei cosiddetti ‘adulti’, mai troppo contrastati.
Anni di militanza coronati dall’ingresso – sancito da una nomina con firma assai autorevole – nel gotha nazionale giovanile. Giornate ricche di idealità, di impegno, di sacrificio, di speranze fortificate dall’entusiasmo dell’età. Anni ricchi di amicizie, fortificate dalla condivisione dei medesimi ideali. In una parola sola, cementate dal cameratismo. Proprio così, nel sogno ci consideravamo camerati in quanto appartenenti, nonostante le tante diversità, ad una stessa comunità militante. Ci sentivamo forti perché dediti a qualsiasi costo (e per tanti il costo è stato fin troppo elevato…) ad una missione, eredi di un testimone che altri, veri eroi, ci avevano consegnato.
Noi, forse coraggiosi, sicuramente arditi ed anticonformisti, qualche volta folli. In tante occasioni costretti ad accontentarci di affermare appena la nostra esistenza, la nostra fede, il nostro legame con una tradizione che arrivava da lontano. Anche con rituali, con segni e gesti esteriori, pur di testimoniare l’appartenenza. Anche con gesti sciocchi, inutili e qualche volta incoscienti. Come presidiare quattro manifesti all’interno di una facoltà universitaria, roccaforte di quelli che erano i ‘nemici’ e per i quali eri un ‘nemico’. Spesso la scintilla scoccava per molto meno.
Una sequela infinita di episodi, incontri, eventi, riunioni, raduni, congressi, cortei che servivano a rafforzare le Idee ed a consolidare i rapporti umani. Dal sogno ho estrapolato i nomi di Toto, Corrado, Giampiero, Roberto, Pierfrancesco, Gilberto, Maurizio, Fabio, Gianfranco, Gianni, Massimo, Alessio, Massimiliano, Agostino, Raffaele, Giustino, Marzio e Nicola…
Ma sono certo di dimenticarne tanti.
Ricordo gli slogan dei pochi cortei ai quali si riusciva a partecipare, tra i più gettonati e gridati all’unisono “Il comunismo non passerà”, “Contro il sistema la gioventù si scaglia, boia chi molla è il grido di battaglia”, “Europa Nazionale Rivoluzione”.
Ricordo che, negli stessi cortei, gli slogan erano accompagnati da una selva di braccia tese, alla faccia della legge Scelba. A riprova che ‘me ne frego’ era il nostro motto.
Ricordo che qualcuno dopo aver scalato il vertice del partito - mi pare Gianfranco - diceva “l’identità che il Msi orgogliosamente rivendica non è tesa a restaurare un regime, bensì a rilanciare valori che quel regime teneva ben presenti”. (La Repubblica - 31 ottobre 1992)
Ricordo che a Strasburgo, in occasione un raduno giovanile delle destre europee, durante la cena di gala scandalizzammo i puritani assai ’lib-dem’ di alcuni movimenti del nord Europa, cantando a memoria “Cara al sol” in omaggio a Blas Pinar, leader spagnolo di Fuerza Nueva.
Ricordo che qualcuno - mi pare Gianni – nel suo documento di candidatura alla segreteria del FdG scriveva “tutti i fenomeni di nostalgismo inutile non hanno nulla a che fare con la difesa delle nostre radici storiche fasciste”. (“Per una rifondazione comunitaria del movimento giovanile” – maggio 1988)
Ricordo che in ogni sezione del FdG c’era almeno un ritratto o una foto mussoliniana e chissà quanti libri che parlavano di Lui.
Ricordo che per protestare contro l’imperialismo americano e per ricordare i Caduti della Rsi qualcuno – mi pare Fabio e Gianni - prese tante manganellate dalla polizia, fu arrestato e denunciato.
Ricordo che in tante città il 28 aprile si celebrava una messa in ricordo dei Caduti per l’Idea.
Ricordo che in un ‘quaderno’ del FdG qualcuno – mi pare Maurizio - tra i riferimenti culturali inserì anche la Carta del lavoro ed i diciotto punti di Verona. (“Memoria, idee, futuro della Giovane Destra” - settembre 1989)
Ricordo tante altre cose, che evocavano un clima, uno stato d’animo, una tensione ideale, una memoria storica. Ma sopratutto ricordo che, anni dopo, tanti erano diventati qualcosa. Chi deputato, chi senatore… chi assessore, chi sindaco… chi ministro, chi presidente.
Ai tempi della militanza, non era quello il nostro obiettivo finale, ma poteva rappresentare una tappa importante del nostro percorso per contare, per decidere, per affermare i nostri valori. Sempre però - dicevamo – all’insegna del “non rinnegare, non restaurare”, come insegnatoci dai padri fondatori.
Poi, mi sono destato ed ho capito che era solo un sogno. Un sogno avvincente, ma il frutto di un delirio onirico. Da sveglio non c’era più traccia di quell’appartenenza. Chi più chi meno si è affrettato a svicolarsi, a defilarsi, a smentire, a spiegare, a giustificare, a negare, tanti a silenziare... Insomma, si cantava, si gridava, si leggeva, si salutava, si affermava, si giurava, ma non siamo mai stati… Non siamo 'ex', tanto meno 'neo' o 'post'.
Ma allora... chi eravamo?

domenica 11 maggio 2008

I conti tornano...

Adesso ho finalmente capito perché spesso siamo stati tacciati di essere troppo conservatori. Ebbene sì, anche io sono stato vittima di un vizio antico, quello di conservare tutto quel che ha riguardato la militanza giovanile politica, a mio avviso utile: volantini, manifesti, ritagli, tessere, giornali, lettere ecc... Roba da museo, che farebbe la gioia degli archeologi della ricerca storica. Ognuno di noi, accaniti conservatori, potrebbe contribuire ad un ricco archivio della destra in Italia e potrei fare la mia parte per il periodo anni '70-'80.
Curiosando in un indicibile guazzabuglio di carte, oltre l’ordine disorganico (curioso esempio di ossimoro), unico cruccio sono stati gli strati di polvere che negli anni si erano accumulati. Patina grigia dello stesso tipo dichiarato dall’allora segretario del Msi, qualche mese prima della nascita di Alleanza Nazionale (1994): «Ci sono due dita di polvere sull'Opera Omnia di Mussolini». Disse al giornalista che lo intervistava, insospettito da quei volumi ancora presenti nella libreria del suo ufficio. Libri che forse fanno ancora bella mostra in tante sedi di AN, ma soprattutto negli studi e nelle case di tanti alleati nazionali, di base e di vertice.
Era il primo atto, spesso dimenticato, di quella lunga conversione che a ‘tappe forzate’ l’ha portato a diventare Presidente della Camera. Scranno da vertigini che ha contribuito a fargli individuare nella data del 25 aprile (a 23 anni dalla famosa epigrafe fiuggiana «Usciamo dalla casa del padre con la certezza che non vi faremo ritorno» - gennaio 1995) una giornata nella quale «si onorano valori autenticamente condivisi e avvertiti come vivi e vitali da tutti gli italiani». E sottolineo 'tutti'.
Tornando alle particelle, o meglio al materiale che sotto di esse si era accumulato nel tempo, la mia attenzione è stata attirata da un pezzo certamente raro: una copia di “All’Orizzonte”, giornale del Fuan dell’era Menia (oggi deputato triestino del Pdl). Esattamente dal numero che accompagnò il XVI congresso del Msi a Rimini nel gennaio 1990, evento cruciale nella storia missina perché per la prima volta (ed anche ultima) Pino Rauti fu eletto segretario nazionale del partito, peraltro con l'appoggio dei vecchi 'tromboni' missini (chi c'era si ricorderà le 'bottiglie volanti' ed i cori "Badoglio, Badoglio.." rivolti a Servello, Pazzaglia e soci).
In prima pagina campeggia un titolo a cinque colonne “Il Msi verso il Duemila” per introdurre un’intervista a Gianfranco Fini, a cura di Italo Bocchino (odierno deputato e vicecapo gruppo del Pdl).
Proprio oggi - dopo appena 17 anni, ininterrotti e senza congressi, alla testa del partito (prima Msi, poi An) - il 'dominus' lascia spontaneamente la carica, quale migliore occasione per offrire ai lettori del blog Spigoli, come fosse un buon bicchiere di spumante, una delle risposte all'intervista, incredibilmente lungimirante: «Da un lato è incredibile come a pochi anni dal 2000 ed a quasi mezzo secolo dalla fine della seconda guerra mondiale ci sia ancora chi ritiene che il rapporto tra il Msi e il Fascismo debba essere unicamente una ostentazione nostalgica e quindi priva di qualsiasi significato politico, di quelli che furono i simboli e le modalità di espressione del Fascismo stesso. Da altra parte è anche preoccupante che all’interno del Msi vi siano delle tendenze, sia pure non espresse con altrettanta forza, di sostanziale storicizzazione, di archiviazione dell’esperienza fascista. Il Fascismo certamente costituisce la radice del Msi e se qualcuno oggi chiede al Msi una sostanziale abiura nei confronti del Fascismo per ottenere una sorta di passaporto per l’inserimento nella politica nazionale, questo qualcuno è destinato ad avere una solenne smentita. Una abiura del Fascismo non è politicamente utile né moralmente accettabile, soprattutto in un momento in cui la Storia dimostra che per capire questo XX secolo è necessario capire appieno il Fascismo, e un po’ tutti, noi e i nostri avversari, dobbiamo fare i conti con quella esperienza e con quella eredità».
Oggi, tutti sappiamo come sono stati fatti i conti...

giovedì 8 maggio 2008

La maledizione di Montecitorio

Sarà per l’alone da menagramo che, dai tempi di Tangentopoli, aleggia sul più alto scranno della Camera dei deputati, ma per Gianfranco Fini si prefigurano tempi duri. Per fare un rapido ripasso storico, ecco una serie di carriere stroncate nell’aula di Montecitorio.
Nel 1994 si registrò l’avvento della leghista Irene Pivetti, che dopo quell’avventura ha brillato più come ballerina ed opinionista che in politica; due anni dopo arrivò il magistrato Luciano Violante, che - pur di annusare l’ipotesi di candidarsi ‘super partes’ per il Quirinale - fu anche capace di ricordare il sacrificio dei ragazzi della Repubblica Sociale Italiana, ma arrivò appena a presiedere il gruppo parlamentare diesse prima di abbandonare la scena, in quanto non ricandidato ad aprile; nel 2001 e nel 2006 fu il turno di Pierferdinando Casini e di Fausto Bertinotti, le cui ambizioni politiche sono state recentemente frustrate dalla legge elettorale e dai voti conquistati.
Per un buon calcolatore come Fini, aver azzardato una classifica dei reati (“Gli scontri anti-israeliani di Torino egli attacchi di naziskin a Verona non sono paragonabili… Quel gruppo che si definisce neonazista va punito, ma quello che accade a Torino, dove frange della sinistra radicale danno vita ad azioni violente che cercano una giustificazione con una politica antisionista, è più grave” Porta a porta/Rai1 – 5 maggio 2008) appare come una voce dal sen fuggita colpevolmente nel comodo salotto vespiano, e non certo un maldestro tentativo di difesa dell’area di provenienza politica. Come da sinistra hanno strumentalmente provato ad argomentare i nostalgici del teorema antifascista. Per tutti, uno dei più dotti, il professor Piero Ignazi, autore di alcuni libri sulla destra politica: “Chi ha dei peccati di origine deve sempre mostrarsi più vergine degli altri”. (Europa – 7 maggio 2008)
Bensì, rappresenta un esasperato frutto dell’affannosa dedizione che da alcuni anni viene manifestata a qualsiasi costo dal ‘quasi ex’ presidente di Alleanza Nazionale. Una sorta di infinito debito contratto per ottenere legittimazione ed accreditamento, così da essere accettato nelle stanze del potere senza che alcuno possa ricordargli chi fosse e cosa dicesse, neanche troppi anni or sono. Una forzatura tanto maldestra che, nonostante le difese d’ufficio degli amici del Pdl, ha incassato anche la bocciatura dello schietto sindaco leghista di Verona, Flavio Tosi, pronto a prendere le distanze: “Sono due piani diversi e ben distinti. Là sono opinioni, qui c’è un ragazzo morto. Fini ha detto una boiata". (Corriere della Sera – 7 maggio 2008)
Strano a dirsi, invece è stato promosso a pieni voti dall’ambasciatore israeliano in Italia, Gideon Meir: “Non so abbastanza e non voglio fare riferimento ai fatti di Verona”, ma sulla vicenda di Torino “sono assolutamente d’accordo con Fini”. (Corriere della Sera – 6 maggio 2008)
Sulla triste ed ignominiosa vicenda veronese si sono già scritti fiumi di inchiostro, è perciò superfluo sprecarne altri per ripetersi. Quindi - oltre a sottolineare come i media stiano sguazzando senza ritegno utilizzando una terminologia che richiama subito alla mente una certa parte politica (ahinoi, quanti danni arreca ancora aver perso la ‘guerra delle parole’, spesso senza neppure aver cercato o saputo combatterla, vedasi anche alcune fasi goffe dell’ultima campagna elettorale de La Destra) - voglio offrire alla riflessione una lettura esente da strumentalizzazioni, lasciando la parola a Maurizio Blondet: “I massacratori di Verona, gli scolari di Viterbo che incendiano i capelli al compagno povero e campagnolo, lo riprendono col telefonino e diffondo l’impresa su internet, la dodicenne che paga il bullo di classe perché bastoni un’altra dodicenne rivale in amore, l’innamorato che accoltella l’ex fidanzata, le centinaia che a Torino hanno aggredito i vigili urbani per difendere uno di loro che veniva multato, sono il frutto di 40 anni di educazione scolastica sempre più facile e perciò più vacua e vuota - che infine ha rinunciato ad insegnare anche le semplici buone maniere - e di una pedagogia anti-repressiva che ridicolizza la disciplina ed ogni autorità.” (www.effedieffe.it – 6 maggio 2008)

P.S. = In verità, se non avesse brillato in questa occasione, mi sarebbe piaciuto fare alcune considerazioni sull’elezione e sul discorso di insediamento del nuovo Presidente della Camera. Ma ci sarà tempo…

domenica 4 maggio 2008

Segnali di vita

E’ una festa che non sembra terminare. Con Alemanno sindaco di Roma si è completato un ciclo di successi elettorali coi quali il Popolo delle libertà ha cancellato, almeno per cinque anni, la sinistra dal Governo nazionale e dalla Capitale d’Italia. Il successo romano non è stato solo il culmine di una battaglia elettorale, in questo caso amministrativa, ma anche un emblematico segnale di vita. Sarebbe un colpevole errore se la comunità politica schierata a destra non lo valutasse appieno. Se non accadrà qualcosa di imprevisto, ancora una volta nella storia della destra italiana accade un fatto strano. Infatti, dopo una positiva prova elettorale - che attesta come negli italiani non alloggia alcuna ‘pregiudiziale antifascista’ (questa volta sono falliti anche i disperati richiami della comunità ebraica) e di come la classe dirigente formatasi nel Movimento Sociale Italiano a partire dagli anni ’70, ma soprattutto nel Fronte della Gioventù e nel Fuan, sia in grado di raccogliere il consenso per governare e guidare il rinnovamento della Nazione - i vertici del partito preparano una svolta di annacquamento identitario.
Era successo nel 1993, quando - sempre a Roma - Gianfranco Fini candidato sotto le insegne del Msi (non esisteva alternativa neanche nei sogni dei missini più tiepidi…) arrivò ad un passo dal battere Rutelli nel ballottaggio delle Comunali. Ma, nonostante il positivo risultato, nel 1994 venne ideato e deciso lo scioglimento del Msi e la sua confluenza in un nuovo partito: Alleanza Nazionale, nata con il congresso di Fiuggi nel gennaio 1995.
Ed iniziò un’altra storia.
Oggi, nel 2008, Gianni Alemanno riesce addirittura ad aggiudicarsi il ballottaggio contro Rutelli, ma è già in programma un congresso di An (addirittura il primo dopo quello di Fiuggi, cioè dopo ben 13 anni!!!) per decretare il suo scioglimento e la confluenza in un nuovo partito: il Popolo delle libertà. E sarà un’altra storia.
Una coincidenza? Forse... Comunque, per l’ennesima volta si tratta di un disegno strategico scritto a tavolino, sulla pelle ed alle spalle di tanti dirigenti e militanti sparsi sul territorio e mai consultati.
Ora, proprio il vincitore dell’impossibile sfida romana appare come l’unica possibile salvezza per chi ancora non considera ineluttabile il progetto di partito unico. Un’idea di contenitore all’interno del quale mischiare impropriamente uomini, culture, storie e simboli, invece che una federazione di partiti, di un cartello elettorale o di qualche altra diavoleria che i geni della politica nostrana potrebbero inventare.
Il valore aggiunto di questo successo romano, molto più alemanniano di quel che appare, e la contemporanea ‘ritirata’ di Fini su uno scranno istituzionale ‘super partes’, con conseguente promessa di cedere lo scettro di An (lui confida per pochi mesi…), creano una condizione inedita: la possibilità che l’ex leader della Destra sociale (il neo sindaco di Roma la creò con Francesco Storace proprio in funzione antifiniana) decida di impadronirsi dei gangli vitali del partito e rimetta in discussione l’adesione ‘sic et simpliciter’ alla creatura berlusconiana. Nient’altro che un suo vecchio sogno, mai neanche accennato.
Chi ha vissuto al suo fianco tanti anni di dirigenza giovanile non lo ha dimenticato protagonista di tante battaglie difficili, al limite dell’impossibile: prima nel Msi con Pino Rauti protagonista dello sfondamento a sinistra, deciso nemico della definizione di destra avendo abbracciato la teoria del posizionamento ‘al di là della destra e della sinistra’, poi in An quando scelse la sua collocazione interna creando la corrente identitaria della Destra sociale, quindi in anni recenti, agli albori del dibattito sul partito unico, quando sosteneva che An dovesse rifondarsi profondamente
«non per perdere la propria identità, ma per perdere ogni subalternità nel centrodestra» (La Repubblica – 14 luglio 2006) e dubbioso sulla svolta: «non si può partire dal partito unico e archiviare tutto il resto». (Il Tempo – 20 luglio 2006) Fino alla tempestiva risposta all’annuncio finiano: «Qualsiasi ulteriore passaggio organizzativo, dovrà essere verificato e sancito attraverso un congresso nazionale» (Ottoemezzo/La 7 – 9 febbraio 2008)
Una buona occasione per i tanti aennini o ex-missini (per chi non crede che esista una sacca di resistenza, suggerisco un viaggio tra blog e siti di area, in particolare quelli di Azione giovani) che nonostante l’impegno pro-Pdl in campagna elettorale hanno ancora più di un dubbio. Determinate ciò che in An finora è stato una chimera, quel dibattito interno nel quale far sentire la vostra voce, il vostro dissenso, affermare i vostri dubbi, ribellarsi all’idea che uno decida per tutti. Solo dopo si potrà, con maggiore coscienza e consapevolezza, fare una scelta.
Per creare qualche segnale di vita, non è mai troppo tardi…