lunedì 28 aprile 2008

Un contributo al toto-ministri…

La vittoria di Gianni Alemanno a Roma (intanto, spazio alla soddisfazione per aver visto sottratta un’altra pedina – ecche pedina !!! – alla sinistra, poi verrà il tempo dell’analisi sui significati di tale successo nello scenario della politica nazionale…) libera una casella ministeriale.
Considerato che in questi giorni tv e giornali si sono sbizzarriti nel toto-ministri, nel toto-viceministri e nel toto-sottosegretari, domani ripartirà questo ameno passatempo. Sommessamente anche il blog Spigoli vorrebbe partecipare a questo spasso nazionale. E prima che sia troppo tardi, raccoglie l’appello della ri-deputata nazionale Alessandra Floriani, che ha preannunziato un’iniziativa originale. Considerando che finora nessuno l’aveva inserita nelle liste dei papabili, ha deciso di proporsi con grinta e sex appeal: “Quando non hai raccomandazione che fai? Metti un annuncio sul giornale: aaa mi offro… Mi offro pubblicamente. E’ molto più trasparente”. (Il Giornale – 23 aprile)
Appunto quel che serve è sapersi offrire, una certa trasparenza, qualcosa di sensazionale. Ma anche evidenziare il settore di riferimento: “Sono esperta di temi sociali: le donne, l’infanzia, sono sempre state le mie materie. La famiglia è la cosa più importante della mia vita”. Potrebbe non bastare, quindi spazio alle qualità caratteriali (“Consolidate qualità relazionali…”), quelle prettamente ministeriali, che tanto piacciono a Berlusconi (“Un aspetto piacevole…”) e quelle maliziosamente congenite (“Io sono una fuori quota per natura…”). Era opportuno corredare il curriculum con un’immagine rappresentativa della candidata, che accelerasse la scelta: “Esclusi perditempo. Non voglio che mi si dica: ti faremo sapere..."
Confido che la scelta sia azzeccata.

sabato 26 aprile 2008

Quale ruolo per An nel Pdl?

Ho avuto un incubo. Era l’ultima manifestazione per Alemanno sindaco di Roma, in piazza Navona. In una serata piovosa, sul palco erano in tre… Al centro il Cavaliere che arringava la folla… Al suo fianco, ognuno aveva un ruolo ben preciso... Mi sono svegliato tormentato da un dubbio: che sia l’immagine-metafora del futuro di Alleanza nazionale all’interno del Popolo della libertà?

venerdì 25 aprile 2008

Dubbi e certezze...

«Credo fermamente che oggi ci siano le condizioni storiche e politiche perché il 25 aprile possa rappresentare un salto di qualità verso la definitiva pacificazione nazionale. Quando, quasi dieci anni fa, autorevoli esponenti della sinistra invitavano a capire anche le ragioni dei 'ragazzi di Salò' e quando più recentemente hanno invitato a saldare il debito contratto con gli esuli Istriano-dalmati e con chi, più sfortunato, finì infoibato, hanno indicato la strada giusta.»
Ancora parole di Giorgio Almirante, che considerava la pacificazione nazionale una "suprema esigenza morale"? No.
Qualcuno dei ‘nostalgici’ dell’estrema destra, Luca Romagnoli o forse Teodoro Buontempo? No.
Un distratto Gianfranco Fini in preda a reminiscenze di quando auspicava con enfasi il “fascismo del 2000”? No.
Un audace Gianni Alemanno proteso al compiacemento degli elettori della Destra-Fiamma Tricolore, quelli che domenica potrebbero consentirgli, nonostante il rifiutato apparentamento, di diventare Sindaco di Roma? No.
Alessandra Floriani in preda ad una nuova visione onirica del nonno? No.
Tenetevi forte... sono le parole odierne di un inaspettato Silvio Berlusconi. Sì proprio lui, il prossimo Presidente del Consiglio. Mi sorge il dubbio che avesse ragione Marcello Veneziani che, intervistato da Skytg24, così commentò il risultato elettorale: «Gli elettori di destra hanno votato il Pdl più per Berlusconi che per Fini, eclissatosi all’ombra del Cavaliere.»
Ma ora gli elettori di destra, fedeli alla propria storia, avranno garanzie da Berlusconi, gli impedirà di diventare il suo erede?

giovedì 24 aprile 2008

25 aprile:
per una memoria accettata e rispettata

“La pacificazione nazionale non può essere prospettata agli altri se non comincia da noi e se non si evidenzia in tutte le nostre parole, in tutte le nostre iniziative responsabili… se ne sono pienamente convinti tutti coloro che sono sempre stati e continuano ad essere vicini al Movimento Sociale Italiano… se ne sono pienamente convinti coloro che si onorano di aver militato nella Rsi, coloro che hanno fatto la dura scelta dei campi di concentramento ‘non collaboratori’, coloro che hanno subito galera ed epurazioni. E’ difficile, è addirittura impossibile che chi ha pagato di persona per una causa morale e nazionale, non sia oggi pienamente disponibile per pagare di persona per una causa altrettanto morale e nazionale.”
Così - nel lontano 1972 - Giorgio Almirante parlava di pacificazione nazionale che definiva “suprema esigenza morale”. Parole ancora attuali, perché nulla è cambiato. Dopo 36 anni - ed a 63 anni dalla fine della guerra civile - una parte d’Italia festeggia ancora in pompa magna la ricorrenza del 25 aprile come anniversario della liberazione, festeggiando un’insurrezione minoritaria che influì ben poco sull’esito finale, una vittoria nazionale che non ci fu, un conflitto che gli stranieri vinsero per conto degli italiani, impegnati in una guerra fratricida. Eppure, il 48,9% degli italiani non sente questa data come festa nazionale ed il 21,5% non sa neanche cosa viene celebrato. (Sondaggio Ferrari Nasi & Grisantelli, 4 aprile 2008)
Un evento che si rivitalizza a ridosso delle sconfitte elettorali della sinistra, come già avvenne nel 1994, e questa volta, con la scomparsa dei comunisti dal Parlamento, la rabbia è tanta. “Bella ciao” e “Fischia il vento”, accompagnate dalle bandiere rosse e dai pugni chiusi verso il cielo, saranno le colonne sonore della rivincita dei 'trombati'. Una celebrazione che “non sarà mai una festa condivisa fino a che non si rimuoverà il suo lato oscuro e criminale, messo in luce da Pansa, circa le stragi e le bestialità commesse a guerra finita”. (Marcello Veneziani – Libero, 24 aprile 2008) Un lato oscuro e criminale sul quale si è aperto un piccolo scorcio di verità, un tragico capitolo di storia patria del quale non si sente parlare senza l’anacronistica retorica dell’antifascismo di ritorno.
Urge ritrovare la memoria, che non potrà essere condivisa, ma almeno accettata e rispettata reciprocamente. Serve favorirla ricordando con rispetto tutti i caduti della guerra civile. Con un’iniziativa che rischia di incontrare l’ostilità di entrambe le parti in causa: attraverso le testimonianze scritte dalle due parti in lotta, rendendo così onore a chi ha lottato ed è caduto in nome delle proprie Idee.

Da “Lettere dei condannati a morte della Repubblica Sociale Italiana”
«…ieri sera dopo che mi è stata comunicata la notizia, mi sono disteso sul letto e ho provato una sensazione che già avevo conosciuto da bambino: ho sentito cioè che il mio spirito si riempiva di forza e si estendeva fino a divenire immenso, come se volesse liberarsi dai vincoli della carne per riconquistare la libertà. Non ho alcun risentimento contro coloro che stanno per uccidermi perché so che non sono che degli strumenti scelti da Dio che ha giudicato sufficiente il ciclo spirituale da me trascorso in questa vita presente. Cara mamma termino la lettera perché il tempo dei condannati a morte è contato fino al secondo. Sono contento della morte che mi è destinata perché è una delle più belle essendo legata a un sacro ideale. Io cado ucciso in questa immensa battaglia per la salvezza dello spirito e della civiltà, ma so che altri continueranno la lotta per la vittoria che la Giustizia non può assegnare che a noi.»
Franco (18 anni)

Da “Lettere dei condannati a morte della Resistenza”
«Muoio per la mia patria. Ho sempre fatto il mio dovere di cittadino e di soldato. Spero che il mio esempio serva ai miei fratelli e compagni. Iddio mi ha voluto, accetto con rassegnazione il suo volere… Non piangetemi, ma ricordatemi a coloro che mi vollero bene e mi stimarono. Viva l’Italia. Raggiungo con cristiana rassegnazione mia mamma che santamente mi educò e mi protesse nei vent’anni della mia vita. L’amavo troppo la mia patria: non la tradite e voi tutti giovani d’Italia seguite la mia via e avrete il compenso della vostra lotta ardua nel ricostruire una nuova unità nazionale. Perdono a coloro che mi giustiziano, perché non sanno quello che fanno e non pensano che l’uccidersi tra fratelli non produrrà mai la concordia… i martiri convalidano la fede in una Idea. Ho sempre creduto in Dio e perciò accetto la sua volontà.»
Giancarlo (20 anni)

mercoledì 23 aprile 2008

Finché la barca va, ma se affonda…

Qualche numero non guasta per leggere gli esiti elettorali. Innanzitutto, non teme smentite l’affermazione che il risultato dei ‘partiti contenitore’ è stato fortemente ed abilmente mistificato ed esaltato. Infatti, nonostante la forza territoriale e l’intensa battaglia mediatica sul ‘voto utile’, i partiti che, volenti o nolenti, hanno rifiutato di diluirsi nel Pdl/Pd non sono stati schiacciati - con l’unica eccezione della Sinistra Arcobaleno - seppure alcuni siano scomparsi o ridimensionati nello scenario parlamentare.
Nel dettaglio, parlando dei vincitori è interessante sottolineare che il Popolo della libertà (Forza Italia più An, Alternativa sociale, Dc/Nuovo Psi e Partito pensionati) nel 2008 ha avuto il consenso di 13.628.865 cittadini ed il 37,3%, perciò rispetto al 2006 ha perso più di 1 milione di voti (erano 14.629.876) ed 1 punto di percentuale (38,3%). Senza considerare che non è facile quantificare - ma c’è stato - l’apporto elettorale dei Popolari liberali (erano nell’Udc), dei Diniani (erano nell’Ulivo) e dei transfughi dell’Udeur che hanno aderito al Pdl prima delle elezioni. Quindi, qualcuno dei soci fondatori ha perso per strada un po’ di consenso.
Ad individuare il colpevole ci hanno provato gli studi dei flussi elettorali. Non sarà azzardato individuare il maggior responsabile in Alleanza Nazionale, abilmente mimetizzata nell’invenzione berlusconiana. Arrivano sicuramente dal parco aennino quei 653.486 elettori che hanno incrementato il bottino conquistato alla destra di An nel 2006 e che si sono riversati su La Destra. Dovrebbe essere quel 2.9% in fuga dal Pdl verso il partito di Storace evidenziato da un’analisi dell’agenzia Poggi&Partners. A chi attribuire, invece, quel 9% arrivato alla Lega? Con interessanti riscontri in Veneto (33,2%), Lombardia (17,2%), Friuli Venezia Giulia (16,6%), Trentino Alto Adige (15,7%) e Piemonte (11,1%). Se portiamo a giovamento del ragionamento anche l’analisi di Mannheimer, i sospetti trovano conforto. Secondo il sondaggista, dei 100 voti presi dal Pdl la quota An è di 25, dato che corrisponde a circa il 9,3% ed a poco più di 3.400.000 cittadini. Perciò, dal 2006 il saldo negativo sarebbe di circa 1.300 elettori e di 3 punti in percentuale, rappresentando più di un quarto del proprio patrimonio.
Il Codice della navigazione stabilisce che sia il comandante a dare l’ordine di abbandonare la barca che affonda ed a farlo per ultimo. In questo caso, invece, l’abile e lungimirante Comandante, dopo aver trascorso diversi mesi ad attaccare furentemente il Cavaliere, ad appena settanta giorni dalle elezioni ha deciso motu proprio di convolare a nozze con lui, trasbordando in tempo utile l’equipaggio sulla barca rivale e mischiandosi tra le bandiere delle truppe berlusconiane. Ora, abbandonata la barca al suo destino (in attesa di colarla a picco nel prossimo autunno) ed apprestandosi a dirigere un altro ‘transatlantico’, il Comandante ha deciso, con spirito magnanimo, di far reggere il timone a qualcun altro. Buona rotta.

sabato 19 aprile 2008

La Storia può sentenziare il 'voto degno'?

In questa campagna elettorale si è sentito di tutto. Prima qualcuno ha parlato di ‘voto utile’, poi di ‘voto disgiunto’. Si è affacciato timidamente anche il ‘voto inutile’. Da anni conosciamo il ‘voto di protesta’ ed il ‘voto di scambio’. Ancora mancava il ‘voto degno’, ma non si è fatto attendere.
L’operazione è di alcuni esponenti della comunità ebraica romana che hanno ‘intimato’ ad Alemanno di non accettare alcun apparentamento con la lista La Destra-Fiamma tricolore per il ballottaggio a Sindaco di Roma.
Sentir riecheggiare in campagna elettorale la persecuzione contro gli ebrei e le leggi razziali degli anni ’30 (a proposito, qualcuno sa dire quante volte chi milita a destra, affinché sia valida, deve esprimere la condanna per un capitolo di storia patria di settant’anni fa?) desta qualche perplessità, soprattutto in merito all’attinenza. Un dubbio sorge spontaneo... Che si tratti del consueto uso strumentale della storia per incidere sulla politica e porre un’ipoteca sulla libera scelta dei cittadini?
Se così non fosse, considerando che il regime comunista sovietico ha avuto grosse responsabilità sulla morte di numerosi ebrei nell’Urss (lo scrittore russo Arkady Vaksberg nel suo volume “Stalin contro gli ebrei” sostiene che gli ebrei eliminati da Stalin siano stati «presumibilmente cinque milioni») perchè non chiedere a Rutelli di rifiutare i voti di Rifondazione Comunista e dei Comunisti Italiani, conclamati eredi di quella tradizione? Oppure - se Riccardo Pacifici, Tullia Zevi & C. non avessero buona memoria – potrebbe essere la comunità ucraina in Italia a prendere posizione contro il candidato Sindaco del Pd, infatti negli anni ’30 furono almeno 7 milioni le vittime del genocidio di quel popolo perpetrato dalla Russia stalinista.
Non è sufficiente? Allora, diritto di parola alla comunità armena (nel 1915-16 ha subito uno sterminio di oltre un milione ad opera dei turchi) che potrebbe contestare Alemanno perché il Pdl è favorevole all’ingresso della Turchia nella Unione Europea. Indegno sarebbe trascurare i nostri connazionali istriano-dalmati, che - prima vittime dei partigiani comunisti del maresciallo Tito nelle foibe, poi protagonisti dell’esodo con totale privazione dei propri beni da parte della Jugoslavia 'rossa' - avrebbero avuto ottimi motivi per fare appelli eterni al voto anticomunista, ma che si sono sempre riservati di esercitare la loro scelta nel segreto dell’urna. Infine, se avessimo una consistente comunità cecena, questa avrebbe potuto ricordare che Vladimir Putin (loro peggior nemico, detto con un abile eufemismo) vanta una consistente amicizia col Cavalier Berlusconi, fino ad essere omaggiato di uno spettacolo live del Bagaglino.
Per evitare lo scatenarsi delle infinite recriminazioni storiche e l’avvio di una serie incrociata di veti, sarebbe opportuno consegnare definitivamente la storia alla ricerca storica, senza consentire che le vicende del passato possano condizionare le preferenze elettorali di chi sceglie i propri futuri amministratori tra coloro che si affrontano legittimamente nella loro diversità. Ma la storia costantemente percorsa a senso unico, al fine di utilizzarla come una spada di Damocle sulla testa degli Italiani, e l’influenza sulla vita sociale ed economica del Paese - oltre al numero cospicuo dei suoi elettori - della comunità ebraica non mi rendono fiducioso.

giovedì 17 aprile 2008

Un Ministero non si nega a nessuno...

In tempi non sospetti (prima del risultato elettorale...) avevo assegnato qualche premio oscar ad alcuni ‘nominati’ nelle liste elettorali che - ben consapevoli di non essere sottoposti al giudizio popolare (il popolo è stato arbitrariamente privato dell’esercizio della preferenza) - parlavano e straparlavano con una sincerità debordante. Confidavo che ad obiettivo raggiunto il ‘vizietto’ venisse accantonato. Folle illusione. La tentazione di ispirare titoli a quattro colonne è troppo forte. In particolare, il vincitore dell’Oscar della modestia, timoroso che altri onorevoli colleghi potessero insidiare il suo premio, a scrutinio appena chiuso, ha piazzato il colpo che lo mette al riparo da sgradite sorprese.
Mi riferisco al poliedrico Luca Barbareschi, 'nominato' in Sardegna col PdL con destinazione Montecitorio, che blindò il giudizio con un colpo doppio di rara modestia: “Ho un curriculum professionale che in Italia non ha nessuno” e “Alla riunione dei candidati tutte queste bellezze non le ho viste, ma forse i miei standard sono più alti.” (Libero - 16 marzo)
Questa volta, seppure condito da un pizzico di ironia, si è avventurato in un paragone internazionale e - considerando che Veltroni ha usato la carta George Clooney per cercare di conquistare consenso - ha sentenziato: "Il fatto che io abbia abbracciato Berlusconi vuol dire che ho più fascino di Clooney...” (Radio 101 – 16 aprile)
Avendo più volte dichiarato la sua ambizione ministeriale, lo propongo - certo che sarà senza rivali - al Ministero dei Belli Culturali.

martedì 15 aprile 2008

Crollano le identità, restano le poltrone

I ‘ludi cartacei’ sono terminati, il verdetto è stato emesso. Emergono due veri vincitori: uno previsto (Berlusconi), uno imprevedibile (Lega), soprattutto per le dimensioni del risultato. C’è uno sconfitto evidente, ma non previsto: il cartello della Sinistra radicale. Festeggiano anche Di Pietro (ha quasi raddoppiato il suo pacchetto di parlamentari e sarebbe entrato alla Camera anche da solo) ed il siciliano Lombardo (piazza alcuni parlamentari, ma soprattutto trionfa alle regionali in Sicilia con oltre il 60%). Si può rallegrare l’Udc: alla Camera ha perso appena tre deputati ed è presente al Senato, seppure uno dei suoi sarà il chiacchierato Totò Cuffaro. Perdenti nel risultato finale, ma senza alcuna sorpresa, il Partito Democratico (impegnato in una rimonta impossibile dopo i guai del governo Prodi) ed il Partito Socialista (anche perché sotto l’1% non riceverà contributi elettorali).
Discorso a parte per La Destra, dove lo sport preferito sarà vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Mezzo pieno: quasi un milione di voti, più che raddoppiate le percentuali della destra radicale, capacità di resistere alla tenaglia mortale del bipartitismo, appena 239.000 voti in meno rispetto al cartello dei quattro partiti della sinistra radicale, certezza di attingere ai contributi elettorali. Mezzo vuoto: nessuna rappresentanza parlamentare, risultato scadente nelle presunte roccaforti (in particolare, Lazio e Sicilia), incapacità di attrarre il consenso degli aennini delusi dal nuovo corso, defezione di alcuni fondatori che a poche ore dal voto si sono espressi per il 'voto disgiunto'.
Detto ciò e festeggiato lo scippo dell'Italia agli eredi di Prodi, i risultati meritano alcune considerazioni. E' evidente che la teoria del ‘voto utile’ - massicciamente diffusa da Veltrusconi - è stata recepita e metabolizzata dagli Italiani, che hanno premiato i due partiti contenitore (Pdl e Pd), seppure non nella misura auspicata dai loro leader: nel 2008, 70,56% con 25.721.863 voti contro il 69,6% e 26.458.198 elettori del 2006, e da questa ultima somma manca il non quantificabile elettorato radicale (era diluito nella Rosa nel pugno) e dei Popolari liberali (erano nell’Udc). Il valore aggiunto che li porta a sfondare l’80% dei consensi è evidentemente omaggiato dalla Lega e dall’Italia dei valori.
L’Italia, perciò, si avvia a passo spedito verso una semplificazione del sistema politico, che porta immancabilmente ad un pericoloso bipartitismo secco, unica eccezione saranno alcune alternative territoriali: Lega, Mpa, Svp, Uv. Non è difficile intuire che ai due partitoni, nel prossimo giro, sarà sufficiente ritoccare (o anche confermare) la quota di sbarramento, obbligando così Di Pietro ad aderire al Pd e Casini al Pdl, pena la loro sparizione. Et voilà, le jeux son fait.
Disegnato lo scenario nazionale, la maggiore delusione arriva da una comunità politica - con la quale si sono condivisi percorsi e ragionamenti (anche quelli critici sulla nuova svolta finiana) - che pur non apprezzando il progetto e la confluenza di An nel Pdl non ha trovato la forza o il coraggio per ‘boicottare’ in maniera indolore – nel segreto dell’urna, vista la consapevolezza della schiacciante vittoria berlusconiana – il cammino deciso dal ‘dominus’. Chi ha conosciuto e partecipato attivamente alla vita del Movimento Sociale Italiano, ma anche chi più giovane ne ha raccolto il testimone, non può che provare tristezza nel vedere come i suoi eredi morali (è una categoria ancora esistente in politica?) non siano stati in grado di impegnarsi per non cancellare dalla scena parlamentare un’identità politica, preservare una memoria, non archiviare maldestramente una storia, tenere accesa la fiamma tricolore a Montecitorio. Lo scrivo senza alcun timore di apparire sentimentale o ‘museale’, come piacerebbe a qualcuno che ha dimostrato non avere grande dignità. Era una scelta importante, più importante di quanto molti abbiano voluto pensare e capire. E’ stata gravemente disattesa.
Se si volesse far le pulci al progetto Pdl, sarebbe gioco facile fare le somme ed evidenziare che i conti non tornano. Nel 2006, Fi, An, Partito pensionati (transitato da Prodi a Berlusconi), Dc-Nuovo Psi ed Azione sociale avevano raccolto il 38,3% e 14.529.976 voti; nel 2008, 37,39% e 13.628.865 elettori, all’interno dei quali vanno considerate anche le briciole di Dini e di Giovanardi. Facile dedurre che la novità non ha avuto il valore aggiunto tanto atteso e che la prevista contrarietà al progetto, percepita a destra, si è canalizzata – oltre che su La Destra - al nord verso la Lega e probabilmente pure nell’astensionismo. Infastidisce anche l’arroganza di chi – avendo vissuto per anni una vita politica di opposizione, in posizione di minoranza che pareva eterna – oggi utilizza espressioni sprezzanti nei confronti di chi ha scelto di lottare per preservare un’identità. Paradossalmente, come ha fatto Fini interloquendo con Bertinotti durante Matrix, spingendosi a dire: “Senza alcuni di voi, il Parlamento sarà meno ricco di stimoli culturali”.
Mi resta un forte dubbio: queste elezioni hanno sancito la definitiva scomparsa del voto per le identità, lasciando spazio solo a quello per le poltrone?

lunedì 14 aprile 2008

Tutti allineati: la tavola è imbandita

E’ stato sfornato in piena campagna elettorale. “La destra in cammino. Da Alleanza nazionale al Popolo della libertà” è l’ultima fatica (in senso letterale, se si considera la rapidità nel produrre questo corposo lavoro editoriale: 322 pagine) di Alessandro Campi, professore associato di Storia delle dottrine politiche all’Università di Perugia e - dato politicamente più rilevante - direttore scientifico della Fondazione Farefuturo.
Alcune righe dell’introduzione chiariscono subito il senso del volume («Quelle del 13 e 14 aprile potrebbero essere elezioni storiche»), fortificato dall’imprimatur del recensore Luciano Lanna (sul Secolo d’Italia, quotidiano di An da lui diretto): «l’appuntamento elettorale di domenica rappresenta un oggettivo punto di non ritorno». Un lapidario concetto al fine di disilludere qualche speranzoso militante: la scomparsa del partito non può essere messa in discussione da qualcuno (sparuti oppositori interni) o da qualcosa (eventuale sconfitta elettorale). E se qualcuno dei lettori - con tessera di An ben conservata in tasca, tipo cimelio - non avesse capito gli avvenimenti di questi ultimi tre mesi, il Direttore ribadisce il cammino finiano come «necessario e coerente, culminato nella decisione di confluire nel nuovo grande contenitore del Pdl».
Insomma, è tutto già deciso, perciò è legittimo chiedersi quale ruolo avrà il congresso previsto per l’autunno, se non quello di una sontuosa kermesse di scioglimento e confluenza.
Gli scienziati della politica sono veramente imprevedibili. Nel caso in esame, da ‘gosthwriter’ - ma soprattutto ‘gosththinking’ - del ‘dominus’ cerca di dipingere a tinte rosa (o, se preferite, azzurre) lo scenario politico che si prefigura. Talmente abile da far miracolosamente ricomparire – questa volta però dal versante dove meno te l'aspetti – una perfida e pericolosa teoria, dove chi si richiama all’identità diventa fautore di un «ghetto fatto, più che di programmi e di proposte minimamente plausibili, di simboli del passato, di appelli ai valori e di parole d’ordine altisonanti ed evocative».
Complimenti per l’originalità della tesi, professor Campi. Ho il sospetto di aver sentito queste parole già negli anni '70, quando mi avvicinai alla politica militante, con tutte le conseguenze che chi c’era può ricordare perfettamente. Grazie alla politologia scritta a tavolino, cercheremo di capire come il progetto PdL sia la «grande politica», la novità che rappresenta «un’opportunità per molti versi unica”, «un’occasione d’oro per chiunque voglia fare politica partendo non dai proclami, ma dalle idee». Campi parla di una destra (se si potrà chiamare ancora tale, visto che il Cavaliere dice ben altro...) pronta a superare “una volta per tutte le idiosincrasie, i riflessi condizionati, le chiusure comportamentali e gli automatismi mentali ereditati dalla tradizione missina, che sinora avevano impedito ad An di aprirsi a un rapporto costruttivo ed egemonico con importanti settori della società italiana». Mentre, di converso, è retrogrado, gretto, zoticone, “vittima inconsapevole di una vera e propria trappola mentale” chi la pensa e la immagina diversamente.
Non è generoso limitarsi alle critiche. Perciò, è da apprezzare lo sforzo di Campi per conciliare, armonizzare, rendere in perfetta coerenza con una tradizione ideale (viste le feroci critiche alla storia della destra italiana, a quale si richiamerà?) questo nuovo percorso politico e ideologico. Fino a spingersi ad ispirare aperture al multiculturalismo, all’immigrazione e nel rapporto con le religioni.
C’è un dato su cui riflettere ulteriormente. Come mai tutti gli intellettuali di prima fila del versante destro - mi riferisco a quelli che contano, che scrivono tanto, che pubblicano, che hanno vetrine importanti, che fanno opinione - sono tutti entusiasticamente consenzienti al nuovo corso finiano? Forse, sono già seduti alla tavola imbandita del PdL e hanno la memoria corta?

P.S. = Come per ogni regola, c’è la debita eccezione: Marcello Veneziani che, essendo editorialista di punta di “Libero” (quotidiano sincero sostenitore del PdL), durante la campagna elettorale è stato (o si è) silenziato…

domenica 13 aprile 2008

Voto utile, voto disgiunto, voto inutile...

Hanno chiuso la campagna elettorale come l’avevano iniziata, sparandole grosse… Il Cavaliere - sempre prodigo di “ipotesi di scuola”, così le definisce quando non è sicuro che siano realizzabili – nelle ultime ore ha estratto dal cilindro l’abolizione del bollo auto e - come presidente del Milan - il probabile acquisto di Ronaldinho.
Ma Uolter non è stato da meno schierando Francesco Totti e Roberto Benigni, degustando un caffè al bar con George Clooney, nonché tranquillizzando i suoi potenziali elettori con una confessione strappalacrime – seppure non inedita - sul suo rapporto col comunismo: “Ero nella Fgci (organizzazione giovanile del Partito Comunista Italiano, ndf) ma non ero comunista”. Perché trascurare che nel 1976 è stato anche consigliere comunale del Pci a Roma, ‘ma anche’ eletto parlamentare del Pci (1987), ‘ma anche’ componente del Comitato centrale del Pci (1988), ‘ma anche’ direttore del quotidiano del Pci “L’Unità” (1992).
Che dire… disegna bene Alfio Krancic.

venerdì 11 aprile 2008

I fondi di caffè non mi servono più

Ci provo dall’8 febbraio, inutilmente... Manca solo la lettura dei fondi di caffè ed avrò esperito anche tutti i tentativi magici per avere una risposta. Insomma, qualcuno me lo sa dire: Alleanza Nazionale si scioglierà o non si scioglierà?
Il mistero è nato quella sera, sul portone di Palazzo Grazioli (per gli inesperti, sede romana di Forza Italia), dove il Presidente Fini ebbe l’illuminazione: "Condivido pienamente la proposta di Berlusconi di dare al popolo del 2 dicembre un'unica voce in Parlamento. Una pagina storica della politica italiana. Il 13 aprile nascerà nelle urne un nuovo grande soggetto politico ispirato ai valori del Ppe e quindi alternativo alla sinistra. Nei prossimi giorni chiederò doverosamente alla Direzione di Alleanza Nazionale di ratificare questa decisione.” (Rai News24, 8 febbraio)
Superfluo dire che la Direzione nazionale non trovò nulla da obiettare. I due ‘dominus’ avevano deciso secondo il loro stile: Forza Italia ed Alleanza Nazionale unendosi daranno vita ad una cosa nuova, rinunciando ai propri simboli ed al proprio nome. Così nascerà un nuovo partito: il Popolo delle Libertà. Il concetto era chiaro, ma il Presidente mi ha ulteriormente supportato confermando che il PdL “non sarà solo un cartello elettorale, guai se lo fosse. E’ un progetto molto più ambizioso che nasce da un accordo politico e che troverà la sua consacrazione nel momento elettorale, ma dovrà necessariamente svilupparsi dopo.” (Il Giornale, 11 febbraio)
L’entusiasmo a volte gioca brutti scherzi (“Ci siamo trovati d’accordo nel dire che per la prima volta poteva nascere un soggetto politico non calato dall’alto attraverso la scissione o la fusione di soggetti esistenti, ma dal basso, nelle urne”) (Il Giornale, 11 febbraio) e genera impulsi di ottimismo inimagginabili (“I nostri militanti hanno capito perfettamente la portata delle sfida del nuovo partito unitario”) ( Il Messaggero, 14 febbraio), accompagnati da improvvisi slanci di formale rispetto della volontà altrui e delle regole (“In autunno si terrà il congresso e stabiliremo le tappe e le regole che porteranno ad un soggetto unico. Lo scioglimento di AN passerà da quel congresso d’autunno. Ovviamente la stessa cosa dovrà fare anche Forza Italia”). (Libero, 16 febbraio)
Ciò nonostante, senza dubbi e senza remore, questo partito s’ha da fare. Tanto che il progetto PdL andrà avanti anche dopo le elezioni, qualsiasi sarà il risultato: “Un passo indietro sarebbe in ogni caso incomprensibile. Ci vogliono strumenti nuovi. Non a caso noi siamo il Popolo della libertà, non il partito. Il partito è uno strumento del secolo scorso, inadeguato alle nuove sfide”. (Il Giornale, 1 aprile)
Vedete cosa vuol dire avere nuovi impegni familiari, si pecca in distrazione. Sarebbe meglio che qualcuno dei suoi collaboratori gli ricordasse che il nome è stato scelto - lo scorso 2 dicembre - in un partecipatissimo 'referendum da gazebo', indetto tra gli aderenti (e adoranti) del famoso 'editto del predellino', enunciato in piazza San Babila dal Cavaliere: con il 63,14% fu bocciata la scelta di denominarlo Partito delle Libertà. Consultazione popolare, peraltro, alla quale AN ufficialmente non partecipò perché Gianfri era ancora offeso col Cavaliere. Ma sì, chi vuoi che si ricordi questi dettagli.
Comunque, non ancora convinto, ho cercato la soluzione in edicola da una fonte attendibile: “Area”, il mensile di riferimento di Gianni Alemanno. Proprio lui che si era fatto carico delle perplessità dell’ambiente con una coraggiosa dichiarazione a caldo: “Dopo le elezioni, qualsiasi ulteriore passaggio organizzativo, dovrà essere verificato e sancito attraverso un congresso nazionale di AN”. (Ottoemezzo / La7, 9 febbraio)
E’ bastato poco per capire meglio. Trascurabile, ma non troppo, l’intervista del senatore Marcello De Angelis al suo Presidente (mi ha fatto tornare in mente quella di Giovanni Minoli a Bettino Craxi...), invece sono stati i titoli dei due articoli politici ad illuminarmi: “Fini: Il domani appartiene a chi se lo va a prendere” (verrebbe da dire, il signore sì che se ne intende…), ma soprattutto “Un atto d’amore per l’Italia”, titolo dell’editoriale alemanniano. L’ex Ministro è stato esplicito nello spiegare che “gli uomini e le donne di An devono tirare fuori la loro parte migliore: il realismo, il senso di responsabilità e il radicamento nei valori e trasferirli all’interno del PdL.”, perentorio nel porre un monito (“guai, in questi momenti difficili, a pensare solo al proprio particolare…”) perché davanti al bene comune dell’Italia “si deve essere in grado anche di sacrificare sé stessi e i propri interessi particolari. Questa è l’idea con cui dobbiamo accostarci alla nascita del Popolo delle Libertà”.
Ho capito. Ora posso rinunciare ai fondi di caffè… Ma non al diritto di testimoniare col voto la contrarietà a questo sciagurato progetto monocratico, che testimonia come “in An l’esigenza di piazzare il proprio capo ha vinto definitivamente sulla libera circolazione delle idee” (Marcello Veneziani - Il Riformista, 19 febbraio).

mercoledì 9 aprile 2008

Dal contenitore al cassonetto il passo è breve….

Sin dal suo annuncio, lo spregiudicato progetto di bipartitismo concordato (recentemente proprio il Cavaliere, intervistato su Sky TG24, ha candidamente ammesso di aver condiviso l’idea proprio con Walter…) ha generato più di un sospetto. Non convinceva l’ipotesi di rendermi complice della nascita di uno scenario americaneggiante nel quale i due ‘partiti contenitore’ potessero conquistare oltre l’80% dei voti, arrivando ad un controllo assoluto del potere politico (e non solo..), saldamente consegnato nelle mani dei due leader e dei pochi fedelissimi sodali. Una vera oligarchia.
Al momento della composizione delle liste se ne sono viste delle belle. Nel ‘contenitore PD’ si trova l’operaio da 1.000 euro mensili (Boccuzzi) ed il capitalista milionario (Colaninno), la cattolica dotata di cilicio (Binetti) e la lesbica sponsor delle coppie gay (Concia), il sindacalista (Nerozzi) e l’economista nemico dell’articolo 18 (Ichino), il generale che non vuole omosessuali nell’esercito (Del Vecchio) ed il firmatario del patto elettorale con l’Arcigay (Scalfarotto). Nel ‘contenitore PdL’, il camerata non pentito (Ciarrapico) e l’antifascista intransigente (Nirenstein), la nipote del Duce (Floriani) e chi, a suo dire, verso il suo cognome da signorina aveva pregiudizi (Fini), un sostenitore per due anni del governo Prodi (Dini) ed il duo che ha brindato alla sua caduta con champagne e mortadella (Gramazio-Strano), il generale della Finanza (Speciale) ed un condannato per bancarotta fraudolenta (Cantoni), il produttore di film porno (Verde) e la portavoce del ‘’family day’ (Roccella).
Poi, al momento di esporre i programmi sono fioccate le stucchevoli accuse di plagio. Ancora oggi nei dibattiti e negli editoriali i notisti politici continuano a chiedere ed a chiedersi quali siano le differenze, senza essere riusciti ancora a dipanare la matassa ingarbugliata.
Quindi, il coro a due voci ha eseguito prima il motivo del ‘voto utile’, invitando gli elettori a votare per sé o per l'altro, poi quello del ‘voto disgiunto’, secondo un copione apparso ben scritto. Non è mancata la gara a chi la spara più grossa: “io voglio l’alzabandiera a scuola” ed “io l’inno nazionale ogni mattina”, “io ho le donne più brave e preparate” ed “io ho le più belle”, “io abolisco l’Ici” ed “io assicuro gratis le casalinghe”.
Considerando il numero elevato di elettori pensionati, a breve arriverà la promessa choc: “dentiera gratis per tutti”.
Dulcis in fundo, finalmente un po’ di scontro, anche se con qualche ritornello demodé: “tu comunista” e “tu antidemocratico”.
Era difficile prevedere che la cosiddetta ‘semplificazione‘ del quadro politico avrebbe portato ad abbattere maldestramente differenze, identità, storie culturali e politiche nazionali? Era impossibile immaginare che il futuro, considerate le premesse, profumasse di grande accordo, di larghe intese, di inciucio, di ammucchiata?
Quasi terminata la campagna elettorale, i sospetti sono ormai consolidati, portando ad una ferrea convinzione: non si tratta di due ‘partiti contenitore’, bensì di due ‘partiti cassonetto’, pronti a tutto pur di accaparrarsi quel voto in più che gli potrebbe consentire di vincere e di occupare.
Diventa necessario dare un segnale forte e ce n’è per tutti i gusti. Chi avesse tendenze sinistrose può individuare in Fausto la sua salvezza, per i dirimpettai destrorsi Daniela c’è. Se proprio gli estremi vi infastidiscono, tappatevi il naso (Montanelli docet) e cercate nella scheda Pierferdinando. Non sottovalutate la vostra azione: 'accidere ex una scintilla incendia passim'.

domenica 6 aprile 2008

Quale futuro per liquid...Azione Giovani?

Mentre tutti sono impegnati a godersi l’ultima settimana di campagna elettorale, la mente corre ad un aspetto dello scenario politico che avanza, finora sottovalutato e trascurato: il futuro di Azione Giovani.
Da sempre il mondo giovanile ha rappresentato una presenza importante nella destra politica italiana, caratterizzandosi per libertà d’azione, di pensiero e di proposta. Tanto che le organizzazioni giovanili che hanno ottenuto maggior successo hanno vissuto addirittura in autonomia dal partito, come la Giovane Italia ed il FUAN più del Fronte della Gioventù, o come alcuni gruppi nella cosiddetta destra radicale. I ‘giovani nazionali’ si sentivano legittimi eredi di un glorioso passato, forti della militanza, della passione per le idee, di una inconsueta capacità di traino e di novità, diventando avanguardia politica grazie anche alla freschezza, all’entusiasmo ed alla spregiudicatezza gentilmente offerte dall’anagrafe.
Invece, AG è apparsa vittima di un vizio d’origine, sin dalla sua nascita appiattita sulla struttura adulta ed appesantita da obblighi governativi, non riuscendo ad essere protagonista nella conquista del ‘pianeta giovani’, tanto meno a far emergere una classe dirigente all’altezza del compito, che si imponenesse come ricambio obbligato, almeno in concorrenza con gli ultimi arrivati pronti a salire sul carro del vincitore.
Eppure, all’indomani della ‘catarsi’ di Fiuggi, l’occasione era ghiotta. I giovani potevano rivendicare ed attrezzarsi per diventare il ‘fortino’ dei valori sacrificati sull’altare del bagno purificatore. Valori dimenticati, archiviati frettolosamente e strumentalmente con l’illusoria speranza di conquistare il consenso definitivo dei moderati. Invece, AG si è resa protagonista di un immobilismo inspiegabile, senza riuscire a diventare interlocutrice privilegiata di una generazione sempre meno succube della cultura egemonica, parolaia e ridondante della sinistra.
Gli ‘alleanzini’ si sono lasciati cloroformizzare dagli adulti, emulandoli negli aspetti più deteriori, appiattendosi sui vertici del partito, cedendo la propria indipendenza senza resistere, ottenendo in cambio isolati posti di potere o, peggio ancora, accontentandosi di recitare il ruolo di specchietto per le allodole all’interno delle liste. Spirito di emulazione tanto forte da assistere, prima dell’avvento dell’ ‘era giorgiana’, a strampalate soluzioni di compromesso (come dimenticare il ‘quadrumvirato giovanile’ rappresentativo delle correnti di AN?) che perpetuarono verso il basso infauste divisioni, blindando i giovani sotto la tutela dei capicorrente. Ennesimo riprova dell’irresponsabilità dei vertici nella gestione del mondo giovanile.
Una realtà che, per un già disorientato mondo giovanile, rischia di peggiorare nei prossimi mesi con la formazione del contenitore unico per adulti. La messa in liquidazione dell’identità porterà alla nascita di “Forza Giovani” o di “Azione Italia”? Potrà questo ibrido contenitore unico per giovani rappresentare l’avanguardia politica del PdL, rilanciare la battaglia culturale quale sano investimento per il futuro della Nazione, riconciliare il mondo giovanile coi valori della politica e con la storia patria? O si affiderà alle nascenti scuole berlusconiane al fine di sfornare i futuri dirigenti pidiellini?
Al momento, il clima favorisce solo cattivi pensieri. Spente le passioni, la realtà politica sembra volgere a passo spedito verso l'appiattimento, l'omologazione, all’insegna del siamo tutti sempre più uguali. Scenario che ai più appare ineluttabile, determinando rassegnazione, sfiducia e cinismo, anche dentro una comunità giovanile che avremmo voluto vedere reagire diversamente. Contro si sono levate solo poche voci di periferia, mentre al vertice erano troppo impegnati a conquistare i posti giusti nelle liste.
A febbraio, fiutata l’aria pesante, la Presidentessa si affettava a scrivere ai dirigenti nazionali e territoriali. Dopo aver ingenuamente ammesso la scarsa partecipazione nella nuova strada intrapresa (“La decisione di Gianfranco Fini di aderire al progetto del PdL…”), ha indossato la divisa da pompiere (“…impone anche ad Azione Giovani una riflessione approfondita, che tenga conto della realtà dei fatti e non si limiti ai semplicistici resoconti giornalistici e alle previsioni”) che però non legge le interviste finiane (“Allo stato attuale il Presidente di AN non ha annunciato alcuno scioglimento del Partito…”), dimostrandosi comunque ottimisticamente pronta al peggio (“…il nostro patrimonio e l’autonomia ci consentono di affrontare le novità politiche pensando ai nuovi soggetti politici in termini di contenuti e non di meri contenitori”).
Parlando di passione viene in mente Berto Ricci, fascista critico ed anticonformista, fulgido esempio di carattere, di coraggio civile, contro i pigri, i servi, i carrieristi, gli immobilismi, tanto da poter rappresentare un faro per ogni coscienza giovane. Nel lontano 1938 consigliava di “finirla col miracolismo dell'uno che pensa per tutti. Bisogna muoversi, sapere sbagliare, sapere interessare il popolo all'intelligenza. C’è una libertà da conquistare, da guadagnare, da sudare; libertà come valore eterno, incancellabile, fondamentale”.
Le sue parole indicano ‘ante litteram’ le pene di AN: “Gli eunuchi, i vili pigliaschiaffi disonorano il fascismo, gli adulatori lo avvelenano. Affogare nel ridicolo chi vede nella discussione il diavolo, chi non capisce la funzione dell'eresia, chi confonde unità e uniformità. E' necessario che ognuno di noi sappia essere severissimo con se stesso. E' una regola di vita e metodo d'azione che noi ci imponiamo, e che va dalla purezza del nostro vivere pubblico, alla semplicità dello stile, dalla dedizione intera all'Italia, alla infrangibile unità fra noi. E' il nostro fascismo; è, anzi, più brevemente, il fascismo. Disciplina vera e bella: non rinunziare mai alle idee, ma saper rinunziare sempre al tornaconto personale.”
Un modo autorevole di dettare norme di vita e di comportamento, accompagnate da un auspicio: “C'è in Italia un po' di gente, gente giovane, che non si sente nata a far da fedelissimo a nessuno; che saggia, sonda, sposta la visuale, rasenta a volte l'eresia, e preferisce lo sbagliarsi al dondolarsi tra gli agevoli schemi; che parla un linguaggio proprio, e ha proprie e ben riconoscibili idee; che considera il presente unicamente in funzione del futuro; che ha buone gambe e una tremenda voglia di camminare.”
La speranza per l’Italia è che nella comunità politica che milita a destra ci siano ancora giovani che abbiano questo tipo di gambe e sappiano scegliere verso quale obiettivo marciare.

(vignetta di Giampiero Scola)

sabato 5 aprile 2008

Una buccia per Daniela…

L’esperto sistema dell’informazione – sorpreso e preoccupato dalle sue capacità comunicative, sopratutto televisive - è abilmente riuscito a disseminare nel cammino di Daniela Santanchè una viscidissima buccia di banana e da alcuni giorni la ‘donna verticale’ barcolla vistosamente in preda al morbo berlusconiano del ‘battutismo’. Il pretesto scatenante che si è manifestato a Milano (alcuni saluti romani e qualche coro inneggiante al Duce) l’ha costretta sulla difensiva, costantemente incalzata sul tema scottante del fascismo. Come tutti sappiamo, un problema notoriamente di stretta attualità per la nostra Nazione e fondamentale nella campagna elettorale 2008…
Finora, la ‘drittona’ candidata premier se l’era cavata giocando in attacco (“Sono orgogliosa di essere fascista, se fascista vuol dire essere contro… eccetera… eccetera…”), tenendo ben presente la ‘ragione sociale’ della sua lista, composta oltre che dai delusi del nuovo corso di AN anche dalla Fiamma Tricolore, mai allineata al bagno purificatore di Fiuggi. Ragione sociale improntata ad un forte richiamo all’identità ed alla tradizione politica della destra italiana. Ma al cospetto di domande dirette ha evidenziato fastidio ed imbarazzo, smarcandosi in alcuni casi con risposte maldestre. Tra le peggio riuscite, “I picchiatori fascisti stanno altrove”, “Il fascismo lo abbiamo consegnato alla storia come capitolo delle tragedie” e, dulcis in fundo in diretta su Raidue, “marchio infamante” riferendosi all’aggettivo fascista, seppure con immediato tentativo di toppa parzialmente riuscito.
Chi ha vissuto l’era almirantiana ha ben metabolizzato quanto sia sbagliato cimentarsi ‘disarmati’ nella ‘guerra delle parole’ oppure in stantie diatribe storiche, per esempio sulle leggi razziali distanti appena 70 anni.
Atteggiamento tattico, raffinatezza strategica, impreparazione storico-culturale, approssimazione nell’affrontare le radici e la storia della comunità politica a cui La Destra-Fiamma Tricolore fa riferimento, inesperienza? Scegliete voi quale lettura sia più adatta.
La battaglia di questo appuntamento, però, non è quella di stabilire le capacità, l’affidabilità e l’ortodossia della Santanchè, ma quella di contribuire a salvaguardare un’identità, di utilizzare il proprio voto per preservare una memoria, di combattere per non far archiviare maldestramente una storia. Poi arriverà anche il tempo delle verifiche e degli esami.

martedì 1 aprile 2008

Dalle comiche alla farsa...

(Maramotti da "L'Unita")

La dignità è merce rara. Il silenzio un pregio non comune. L’ingratitudine un male del secolo. In sintesi, ecco il percorso del ‘dominus’ di AN. Lui, però, impavido ostenta le sue certezze e prosegue senza esitazioni. Non serve commentare, più semplice affidarsi alle sue parole, quelle con le quali cerca di spiegare la sua idea di PdL: « L’identità non può stare nei musei. Quell’idea di identità è romantica, ma parziale, può evocare, ma non guidare. L’identità non si può imbalsamare»; «Nel 2008 sono vent’anni dalla morte di Almirante. Se io penso a che cos’era allora il mondo… C’era ancora il muro di Berlino, l’Urss, il Pci, eravamo nel pieno dopoguerra… Da allora è cambiato tutto. Si può pensare di concepire oggi la politica come la concepiva Almirante? Io, che sono stato al suo fianco, so che oggi sarebbe proprio lui il primo a dirci: ragazzi, siete fuori dal tempo…» (Il Giornale – 1 aprile 2008)
Come negare a cotanto politico un'epigrafe presa in prestito dal poeta Giuseppe Giusti: «Buon per me, se la mia vita intera mi frutterà di meritare un sasso che porti scritto: non mutò bandiera»...