sabato 21 giugno 2008

Spigoli trasloca...

Da domenica 22 SPIGOLI trasloca coi suoi articoli ed i vostri commenti.

mercoledì 18 giugno 2008

Giambattista Vico docet...

«...di questa drammatica distanza dalla sensibilità popolare, di questo deficit di radici sociali, Veltroni è parso del tutto ignaro... con l'immagine salottiera e poco ruspante che la sinistra post-berlingueriana, con la sua mancanza di radicamento nel territorio, con la sua distanza culturale dalle regioni del Nord, presentarsi alle elezioni con un candidato premier che è la quintessenza del bel mondo di Roma, delle sue terrazze e dei suoi salotti, era già un azzardo notevole...» ("Perché siamo antipatici? La sinistra e il complesso dei migliori” - Luca Ricolfi - Longanesi)

Correndo con la mente al prossimo futuro 'post-berlusconiano' - immaginando una Lega sempre più forte ed indipendente e un 'partito contenitore' enorme, confuso ed indefinibile - si potrebbe prendere in prestito il pensiero 'ricolfiano' per cucirlo addosso al PdL. Appare verosimile e disegna un potenziale scenario che sancirà la morte della politica.

P.S.= Facile anche indovinare chi potrebbe indossare i panni veltroniani...

venerdì 6 giugno 2008

I 'gendarmi' senza macchia e senza paura

Achtung! E’ arrivato in libreria un volume
«da maneggiare con cura perché rischia di intossicare il lettore» (La Stampa – 16 maggio 2008).
L’avviso ai bibliofili, riferito alla nuova produzione di Giampaolo Pansa, è di Miguel Gotor, docente di Storia moderna all'Università di Torino. E' il settimo libro della saga sulla guerra civile che ha insanguinato l'Italia negli anni 1943/45 ed oltre, scritto questa volta con la veste di romanzo. Volumi che finora hanno venduto centinaia e centinaia di migliaia di copie ed anche “I tre inverni della paura”, dopo appena due settimane, è già in vetta alle classifiche. Un successo costante poco gradito a quelli che Pansa ha definito i 'gendarmi della memoria', impegnati nella missione di salvaguardare i dogmi della vulgata antifascista e resistenziale, che vuole i buoni da una parte ed i cattivi rigorosamente dall’altra. Si tratta di sentinelle dell’ortodossia, tanto spregiudicate da azzardare, come lo storico torinese Angelo D’Orsi, che «siamo in pieno ‘rovescismo’… fase suprema del revisionismo stesso».
Un parente stretto del ‘giustificazionismo’, a sua volta erede del ‘negazionismo’. Sistemi dialettici che si sono alternati - soprattutto per spiegare il dramma delle foibe coi suoi diecimila trucidati – nelle tesi degli storici, degni colleghi di Gotor.
Il buon Miguel, commentando il libro di Pansa, ha indossato il vestito da sciacallo e si è spinto a scrivere: «…i preti uccisi lo sono sempre senza una ragione plausibile e neppure una volta viene detto che quella violenza anticlericale è forse figlia della consapevolezza che i segreti raccolti nel confessionale si sono trasformati in delazioni omicide; le fanciulle stuprate e uccise dai partigiani sono sempre vittime innocenti e mai affiora il sospetto che, amoreggiando con i soldati nazisti, abbiano potuto trasformarsi in spie, vendendo i propri compagni di scuola, divenuti resistenti, al nemico, per un paio di calze di nylon, un tozzo di pane, una carezza d’amore in più» (La Stampa – 16 maggio 2008).
Un fulgido esempio di equilibrismo storico: da una parte santi ed eroi, nella peggiore delle ipotesi salvatori della patria, dall’altra, assassini, spie e puttane.
A breve, contro il ‘traditore’ Pansa riprenderà l’azione collettiva dei ‘gendarmi’ per impedirgli di ribadire che «gli squadroni della morte di una parte del Pci hanno continuato ad ammazzare per odio di classe fino alla fine del 1946» (Quotidiano Nazionale – 16 maggio 2008), nonostante «la retorica della resistenza abbia accreditato la favola della guerra civile con unico scopo la liberazione dal fascismo» (Libero – 16 maggio 2008). Invece, «la guerra dei partigiani rossi era solo il primo passo verso la conquista del potere per trasformare l’Italia in una Ungheria del Mediterraneo» (Quotidiano Nazionale – 16 maggio 2008), ma «gli ordini del Partito comunista andavano nella direzione del silenzio» (Liberal – 16 maggio 2008).
A Pansa il merito di aver contribuito - per la prima volta apertamente da sinistra - a ricostruire stragi, eccidi, violenze, vendette, pistolettate in testa, fucilazioni, rappresaglie, fosse comuni che in quegli anni insanguinarono l’Italia. Un lungo elenco di nomi, luoghi, episodi ignoti ai più, ma soprattutto occultati per non urtare l’agiografia della resistenza. Pochi conoscono l’eccidio di Rovetta, la strage di Oderzo e quella di Schio, il massacro dei fratelli Govoni. Fatti che la storiografia antifascista ha sempre ignorato di proposito, per opportunismo partitico o faziosità ideologica.
Agli occhi dei ‘gendarmi’ la sua imperdonabile colpa è quella di aver offerto un contributo a sollevare il macigno che l’utilizzo della storia per fini politici ha posato proditoriamente su alcune pagine. Il meritorio tentativo di rileggere la storia, di ripercorrere la memoria rendendo giustizia anche ai vinti, non si può liquidare semplicisticamente con la parola ‘revisionismo’. Peraltro, sana abitudine alla base di qualsiasi ricerca seria. Troppo veleno che fa riflettere: forse la storia di quei tragici anni è intoccabile?

mercoledì 28 maggio 2008

Urge una revisione

Domenica 11 maggio resterà una data memorabile. Dopo quasi vent’anni consecutivi di incontrastato dominio ai vertici del Movimento Sociale Italiano (appena una parentesi di Pino Rauti nel 1990/91) e di Alleanza Nazionale, Gianfranco Fini ha deciso.
«Non parteciperò più a riunioni di partito, non salirò più al mio ufficio di via della Scrofa se non per salutare gli amici» ed essendosi finalmente reso conto che «non siamo più figli di un Dio minore», ha preferito dedicare i suoi prossimi cinque anni a dirigere i lavori parlamentari a Montecitorio, recuperando dal dimenticatoio l’istituto delle dimissioni. Come per ogni addio che si rispetti, non è mancata una buona dose di commozione, riservata «agli amici che non ci sono più: Marcello, Luciano, Marzio, Almerigo, Nicola». Quelli che il Corriere della Sera ha definito il "Pantheon di Gianfranco". Cinque dirigenti missini di valore, che nessuno può aver dimenticato. Neanche io.
A cominciare dal triestino Almerigo Grilz, inimitabile vicesegretario nazionale del Fronte della Gioventù negli anni ‘80, che decise di abbracciare il giornalismo di guerra e morì in Mozambico nel 1987.
Partecipò attivamente al Centenario Mussoliniano, lasciando in eredità precise parole: «Indiscutibilmente un gigante della storia politica italiana, Mussolini ci ha lasciato qualcosa di immensamente grande. Un’Idea. Il fascismo, cioè il superamento di capitalismo e marxismo, non è morto con l’assassinio del suo fondatore.» Indicando la missione del partito: «Se è vero che noi siamo i portatori e i continuatori di quella idea, è questo il momento di rilanciarla, di farla vivere e pulsare nella battaglia quotidiana del nostro movimento… non basta proclamarsi continuatori del Fascismo a parole. Occorre esserlo con l’azione politica quotidiana, dimostrarsi degni di quanti seppero lottare e soffrire per il Fascismo, sessant’anni fa, fedeli sino alla scelta estrema della RSI.» Quindi, un’esortazione che suona come un monito per gli smemorati di oggi: «Non accontentiamoci di essere i custodi immobili dell’Idea: facciamola vivere e marciare, nell’Italia di oggi, verso il futuro.» (Trieste domani – febbraio 1983)
Impossibile dimenticare la mole imponente e la sagacia del perugino Luciano Laffranco, storico presidente degli universitari del FUAN, scomparso nel 1992. Fortemente legato all’idea di alternativa sociale: «La stessa crisi del comunismo dimostra che la ‘terza via’ che il Fascismo lanciò al mondo come superamento di capitalismo e collettivismo è la soluzione del problema sociale.» (Il Secolo d’Italia – 1990)
Tragica fine in un incidente stradale nel 1997 per Nicola Pasetto, leader del Msi e del FdG veronese, poi deputato di An. Spesso in lotta contro i soprusi dei vertici del partito, fu protagonista di una battaglia interna che per alcuni anni lo costrinse ai margini ed a realizzare una rivista con altri camerati scaligeri. Il mensile - diretto da Guido Girando - esprimeva l’opinione di una comunità, riportando senza firma molti articoli: «…tali aspirazioni tradite magnificamente accomunano vecchi e giovani camerati, veterani della Repubblica Sociale Italiana e militanti del Fronte della Gioventù, unitamente ad una vastissima schiera di appartenenti a quella ‘generazione di mezzo’ che, in questi ultimi anni, dal MSI si è allontanata delusa.» (Dex – luglio 1986)
Apprezzato anche fuori delle mura missine, Marzio Tremaglia morì nel 2000 all’apice di una indimenticabile esperienza come assessore regionale alla cultura in Lombardia. Un faro per chi confidava di far uscire dalle secche e dalla penombra la ‘cultura anticonformista’, negli anni in cui si rifuggiva un certo tipo di assessorato perché qualcuno sosteneva che la cultura non portasse voti. Per nulla intimorito dal ‘politicamente corretto’, diede vita al Centro Studi sulla Repubblica Sociale Italiana: «Cadere nei luoghi comuni dell’antifascismo quando la revisione storica ci sta dicendo il contrario mi sembra un errore. Sono convinto che la RSI debba essere in gran parte ancora studiata e scoperta. Fu sicuramente necessaria a evitare guai peggiori agli italiani e fu animata da fermenti ed entusiasmi contro la morte della Patria in gran parte non ancora conosciuti. A parte il fatto che abiure e condanne non appartengono alla politica, il fascismo fu casomai autoritario, totalitari erano nazismo e comunismo.» (Lo Stato – 23 dicembre 1997)
Infine, un altro figura storica della gioventù missina. Basta dire Bologna e Giovane Italia ed il pensiero corre a Marcello Bignami, scomparso nel 2006. Approdato tardi a ruoli istituzionali, fece comunque in tempo a lasciare traccia. Nei primi anni Duemila, da consigliere regionale, motivando la sua astensione su un finanziamento ad un istituto storico resistenziale sottolineò che «ormai da una parte sempre maggiore di storici e ricercatori viene accreditata una versione dei tragici fatti accaduti nel 1943-45 diversa da quella accettata sinora. Anche in Emilia Romagna e' giunto il momento di eliminare i tratti agiografici di quel periodo e di capire perché vennero fatte scelte di un certo tipo, tutte, comunque, ispirate all'amore per la patria e la nazione.»
Qualche anno dopo, nel luglio 2005, presentò una proposta di legge per l'istituzione del “Giorno della Ricordanza” in memoria «delle vittime dell'odio ideologico nel periodo 1945-1948», indicando la data idonea nel 26 aprile, cioè il giorno che «ha segnato la fine della guerra civile e l'inizio di un periodo di pace che per una parte di italiani significò però terrore e morte.»
Niente da eccepire, il Pantheon finiano è degno di assoluto rispetto. Però, rileggendo quello in cui hanno creduto e ciò che hanno sostenuto senza riserve, mi sovviene un suggerimento. Presidente, prima che se ne accorgano in troppi e possa scattare l’accusa di appropriazione indebita, in linea con l’avvento di De Gasperi, al posto di Mussolini, nella sua classifica dei grandi statisti del ‘900, non sarebbe il caso di fare una seria revisione al Pantheon?

lunedì 26 maggio 2008

Nostalgia canaglia? Non sempre…

Non si tratta di semplice nostalgia per gli anni passati, ma dell’inevitabile effetto di un convegno al quale ho avuto la fortuna di partecipare. Ha risvegliato la memoria per alcune battaglie giovanili, quelle condotte all’insegna dell’autodeterminazione dei popoli. Erano gli anni in cui le storie più gettonate erano quelle dell’Irlanda e della Palestina. Soprattutto, ma non solo…
Popoli che lottavano per l’affermazione della propria Patria, della propria Identità, della propria storia e della propria cultura, della propria esistenza. Li sostenevamo idealmente, qualche volta in controtendenza rispetto al politicamente corretto. Per noi, idealisti militanti giovanili, costoro erano ribelli che lottavano senza tregua per la loro sovranità nazionale.
Oggi lo scenario internazionale è profondamente cambiato, ma l’autodeterminazione dei popoli resta un principio che deve essere difeso ed affermato. Ancor più oggi che contro i popoli, contro le identità nazionali si sta affermando il mostro del 'mondialismo'. Gli spietati teorici di questa strategia senza anima hanno disegnato un quadretto di pace e serenità, da conseguire grazie alla creazione di un ‘villaggio globale’, quello che la finanza mondiale considera indispensabile per la libera circolazione di merci, uomini e capitali. Non più stati sovrani con confini e leggi proprie, ma un unico stato mondiale. Un grande mercato senza cittadini, ma abitato da consumatori senza identità e cultura. Hanno disegnato per tutti noi un destino di omologazione, che inevitabilmente sancisce l’estinzione per quei popoli che ancora possiedono coscienza della propria specificità, che ancora non sono stati corrotti nell’anima, che si riconoscono in una storia con radici profonde, che respingono ogni assalto all’Identità, che non hanno alcuna intenzione di sottoporsi al volere dell’ideologia mondialista.
Occorre perciò colpirli e silenziare la loro storia. Occorre perciò piegarli al volere del pensiero unico e tacere della loro capacità di essere ‘ribelli’. Occorre vincerli per dimostrare che non c’è speranza.
Grazie a questo convegno ho conosciuto uno di questi popoli: i Karen, che in Birmania combattono una strenua lotta contro il governo centrale per non abbandonare la propria terra e per non perdere la propria identità. Ho conosciuto la Comunità Solidarista Popoli - nata a Verona nel 2001 - che coi suoi volontari, impegnati da anni in un concreto progetto umanitario, si è schierata apertamente nella lotta tra «Identità e Mondialismo, al fine di salvaguardare le particolarità culturali contro l’omologazione» (dal sito Comunità Popoli).
La vicenda birmana inizia nel dopoguerra, quando l’Inghilterra abbandona la sua ex colonia, che più tardi cade sotto l’influenza dell’Unione Sovietica. Si inaugurò così la via birmana al socialismo per la realizzazione del famigerato 'paradiso comunista'. Oggi, però, questo scenario rigidamente ideologico non è più attuale. Parlare ancora di dittatura comunista per il regime sanguinario di Rangoon risulta poco credibile e poco corretto. Come spiegano i volontari di Popoli, il regime birmano è diventato una narcodittatura, infatti la droga è voce fondamentale del suo bilancio economico: oltre all’eroina, ogni anno almeno 500 milioni di pastiglie di anfetamine varie sono destinate al traffico internazionale.
Un paese, sostenuto militarmente dalla Cina, che intrattiene remunerativi rapporti commerciali con multinazionali europee, israeliane e statunitensi, interessate soprattutto al profitto ed allo sfruttamento delle risorse energetiche del Paese. Facile capire perché il regime birmano perseguiti da decenni l’etnia Karen, peraltro indisponibile, per ragioni etiche, a piegarsi alla logica del mercato della droga. Sei milioni di persone che da migliaia di anni abitano quelle terre, che fanno gola agli affari del governo nazionale.
Sanità, istruzione ed assistenza sociale sono i settori che, a causa della feroce repressione del regime birmano, richiedono un urgente intervento. Perciò, Popoli raccoglie fondi da destinare all’acquisto di medicinali e di beni di prima necessità e fornisce, con almeno due missioni all’anno, concreta assistenza scolastica e sanitaria con la costruzione di scuole e cliniche mobili.
Lo sterminio di questo popolo avviene con il complice silenzio degli organismi internazionali, che oltre a produrre qualche documento cartaceo (a metà degli anni ’90 le Nazioni Unite hanno definito lo sterminio del popolo Karen “un genocidio lento ma inesorabile”) nulla hanno fatto di concreto.
Un dramma frutto perverso della supremazia che l’economia ha ormai conquistato sulla politica, che evidenza quanto sia grave la crisi della sovranità popolare e territoriale a vantaggio della sovranità del mercato e della finanza. Una politica non più in grado di governare questi fenomeni secondo interessi generali e valori condivisi, assolutamente impotente contro il tentativo di seppellire i popoli sotto l’egemonia dell’interesse di pochi. Un’agghiacciante crocevia per la realizzazione di un mondo unico, omogeneo, senza più differenze. Un mondo dominato da un solo e onnipotente supergoverno mondialista.
Le parole - prese in prestito da una lettera che Franco Nerozzi, presidente di Popoli, ha scritto a Hla Too (bambino/soldato karen di 12 anni) - suonano come un auspicio per tutti i popoli della terra: «…un giorno, potrò forse mostrare a mio figlio che è ancora possibile voltare le spalle alle schiere chiassose dei mercanti, ricordando, con orgoglio, di appartenere, da sempre, ad un'altra stirpe.»

giovedì 22 maggio 2008

Il ‘testimone’ era in 'buone mani'…

Il 22 maggio di vent’anni fa si spegneva Giorgio Almirante. Sicuramente un gigante della politica italiana con indiscutibili meriti, una figura tanto amata quanto discussa dentro e fuori del suo partito, il Movimento Sociale Italiano. Almirante fu tra i cinque fondatori che il 26 gennaio 1946 si ritrovarono nello studio di Arturo Michelini per dare vita al Msi. Con loro anche Giorgio Bacchi, Giovanni Tonelli e Pino Romualdi. Quest’ultimo - nativo di Predappio, vicesegretario nazionale del Partito Fascista Repubblicano durante la Rsi, a lungo presidente del Msi - altra figura storica missina, per una strana scelta del destino morì il 21 maggio 1988. In appena ventiquattro ore, il Msi perse due figure storiche, che vennero accomunate in un indimenticabile funerale celebrato a Roma il 24 maggio. Decine e decine di migliaia di persone - ordinate in un composto ma gigantesco corteo - accompagnarono i due feretri dalla sede del partito, in via della Scrofa, fino a piazza Navona, dove nella chiesa di Sant’Agnese fu celebrato il funerale.
Indimenticabile per chi, come chi scrive, insieme a tanti altri dirigenti e militanti del Fronte della Gioventù fece parte del servizio d’ordine, guidato e organizzato da un giovane Gianni Alemanno, da pochi giorni segretario nazionale del FdG. Indimenticabile come i ricordi sparsi che riaffiorano nella mente: i nomi scanditi a più riprese dalla folla, il ‘presente’ chiamato da Cesco Giulio Baghino e gridato all’unisono, l’Inno a Roma cantato a squarciagola da migliaia di italiani commossi, una selva di braccia tese.
Non è facile trovare le parole giuste per ricordare degnamente queste due figure. Meglio affidarsi a chi ha saputo dosare le parole in una circostanza tanto importante.
«Parlare di te, Almirante, e di te, Romualdi, è uno schianto. Uno schianto terribile, che ci soffoca il cuore, che ci prende alla gola. Ma è anche un onore che ci inorgoglisce fino alle lacrime. Perché qui, oggi commemoriamo due italiani, due grandi italiani, due italiani puliti, coerenti, coraggiosi, tenaci. Commemoriamo due maestri di vita e di pensiero, due esempi che non possono morire con la morte fisica dei vostri corpi. Voi, Almirante e Romualdi, siete dentro di noi. Appartenete a tutto questo popolo italiano che avete sempre amato, anche quando la legge della fazione lo ha diviso tragicamente, determinando ferite che voi volevate sanare e noi vogliamo sanare. Voi, Almirante e Romualdi, siete stati gli alfieri di questa Italia che ha incivilito il mondo, che ha versato il suo sudore e il suo sangue per onorare il lavoro fecondo e la tradizione gloriosa di questo vostro e nostro popolo, di quella Italia che ha dato al mondo sapienza, leggi, poemi, chiese, esplorazioni, cultura, arti.
Due alfieri di quella Italia che non cambia bandiera, che non si vende, che non rinnega, che non tradisce, che non offende; di quella Italia che guarda avanti, che crede nel proprio destino, che non rinuncia a vivere e a sperare; di quella Italia invasa, spezzettata, devastata, offesa, insultata, umiliata, calpestata dai barbari antichi e nuovi; di quella Italia che si ritrova, che si riscatta, che si riprende, che si rialza, che si rinnova; due alfieri di quella Italia dignitosa nella schiavitù, coraggiosa nella sventura, serena nelle avversità, clemente nella fortuna e misurata nella gloria. Un’Italia che voi ci avete insegnato per 40 anni ad amare, a considerare, come voi la consideravate, adorabile. No, Almirante, no, Romualdi, voi non morite, non potete morire. La vostra opera, la vostra vita sono il vostro messaggio, sono la vostra consegna a noi che, come ci avete sempre insegnato, non abbiamo paura di avere coraggio.
Tu, Almirante, questa tua e nostra Italia l’hai percorsa tutta come un apostolo instancabile dell’Idea che, con Romualdi, hai rialzato quando la sconfitta l’aveva gettata a terra. Le hai parlato con quella parola ineguagliabile che era un dono di Dio. Con quella voce dolcissima che mai potremo dimenticare. L’hai accarezzata con quegli occhi celesti e puliti che adesso, qui, ci guardano. L’hai attraversata tutta, villaggio per villaggio, città per città, contrada per contrada, valle per valle, per 40 lunghissimi anni di onore e fedeltà. Tu, Romualdi, l’hai segnata, questa Italia, con la passione incontenibile del tuo amore, con la forza del tuo carattere generoso, con la tenacia della nostra sanguigna terra romagnola.
Per 40 lunghissimi anni avete portato insieme, in alto, altissima, la bandiera stupenda e pulita della fedeltà alle radici del nostro popolo. Ci avete insegnato che un popolo senza radici non ha futuro, così come un albero senza radici muore. E noi vivremo, Almirante e Romualdi, vivremo per voi e con voi. Ve lo giuriamo col cuore gonfio di dolore e con l’animo colmo di fierezza per essere stati con voi nelle sconfitte e nelle vittorie. Sempre, in questi anni meravigliosi e terribili nei quali ci avete insegnato che le prove più difficili debbono e possono essere vinte. Voi, insieme, le avete vinte. Noi, insieme, le vinceremo. Saranno le vostre vittorie. Saranno le più belle, perché Dante, il tuo Dante, caro Almirante, ci ricorda che la grazia piove sul capo di chi combatte per meritarla. Ci avete consegnato un partito forte, orgoglioso, pulito. Ecco le parole, che tu, Almirante, hai scritto nel lontano 1974. “Noi siamo caduti e ci siamo rialzati parecchie volte. E se l’avversario irride alle nostre cadute, noi confidiamo nella nostra capacità di risollevarsi. In altri tempi ci risolleveremo per noi stessi. Da qualche tempo ci siamo risollevati per voi, giovani, per salutarvi in piedi nel momento del commiato, per trasmettervi la staffetta prima che ci cada di mano, come ad altri cadde nel momento in cui si accingeva a trasmetterla. Accogliete dunque, giovani, questo mio commiato come un ideale passaggio di consegne. E se volete un motto che vi ispiri e vi rafforzi, ricordate: "Vivi come se tu dovessi morire subito. Pensa come se tu non dovessi morire mai."
No, caro Almirante, il testimone non è caduto a terra. E’ in buone mani. In mani giovani, in mani forti, in mani che non cederanno. Lo porteremo avanti, avanti, avanti anche per te, anche con te. Perché tu, Almirante, perché tu, Romualdi, non ci lasciate. Voi restate fra noi, alla nostra testa, in piedi. Come sempre siete vissuti. Grazie per quello che ci avete consegnato. Grazie per quello che ci avete insegnato. Ciao Pino. Ciao Segretario.»

P.S. = Dimenticavo… è il testo integrale dell’orazione funebre pronunciata al termine dei funerali da Gianfranco Fini, allora segretario nazionale del Msi.

lunedì 19 maggio 2008

Giorgio Almirante: appropriazione indebita?

Tra pochi giorni, esattamente il 22 maggio, sarà il ventennale della morte di Giorgio Almirante. In tanti si apprestano a ricordarlo, ad inneggiare alla sua memoria, a farsene legittimi successori, a rivendicare il proseguimento di un cammino nel solco da lui tracciato. Questa corsa all’eredità non mi convince, soprattutto perché lui non può confermare la legittimità.
Per valutare se queste appropriazioni (soprattutto alla luce di alcune sconcertanti dichiarazioni, più o meno recenti degli ‘auto-eredi’) siano o meno indebite, utilizzo un sistema infallibile: mi affido alle sue parole.
Non quelle di uno dei tanti mirabolanti discorsi da lui pronunciati e scritti, facilmente accusabili di enfasi retorica.
Meglio ancora: una lettera che Almirante scrisse nel 1986 (a meno di due anni dalla morte) alla deputata missina milanese Cristiana Muscardini, riferendosi a tentativi di avventato 'superamento storico'.
Lettera pubblicata dal settimanale “Lo Stato” il 2 giugno 1998 e dalla quale mi pregio di stralciare questo passo: «Puoi stare certa che il mio ultimo respiro sarà fascista, nel nostro senso del termine. Perché, per me, per noi, si tratta della battaglia di tutta la nostra vita.»
Infine, autorizzava a sbattere la lettera «in faccia a chicchessia». Chissà se qualcuno dalle parti di via della Scrofa l’ha mai letta e meditata…

P.S. = Per giovedì 22, grazie alla mia dote di ‘conservatore’ (già ricordata nel post dell’ 11 maggio), è in serbo un’altra gradita sorpresa, sia per chi ha avuto la fortuna di conoscere ed ascoltare dal vivo Almirante, ma soprattutto per chi, troppo giovane, vive di fecondi ricordi… Un contributo per agevolare la riflessione sull'evoluzione (???) della Destra italiana.

martedì 13 maggio 2008

Sogno o son desto?

Solitamente prima di prendere sonno leggo i giornali, gli articoli rimasti in arretrato durante la giornata. Ieri, mi ha preso Morfeo e mi ha regalato un sogno. Mi ritrovo alla fine degli anni ’70, quando - preso dal sacro furore dell’Idea e spinto dal sacrificio dei martiri di Acca Larentia – decido di entrare in una storica sede cittadina del Fronte della Gioventù (organizzazione giovanile del Msi), iniziando a condividere con militanti giovani e meno giovani un’intensa e bella stagione di militanza giovanile durata oltre dieci anni. Il sogno raccontava di tante ore passate in sezione, di tante battaglie, di tante soddisfazioni, ma anche di tante delusioni, spesso determinate dalle scelte dei cosiddetti ‘adulti’, mai troppo contrastati.
Anni di militanza coronati dall’ingresso – sancito da una nomina con firma assai autorevole – nel gotha nazionale giovanile. Giornate ricche di idealità, di impegno, di sacrificio, di speranze fortificate dall’entusiasmo dell’età. Anni ricchi di amicizie, fortificate dalla condivisione dei medesimi ideali. In una parola sola, cementate dal cameratismo. Proprio così, nel sogno ci consideravamo camerati in quanto appartenenti, nonostante le tante diversità, ad una stessa comunità militante. Ci sentivamo forti perché dediti a qualsiasi costo (e per tanti il costo è stato fin troppo elevato…) ad una missione, eredi di un testimone che altri, veri eroi, ci avevano consegnato.
Noi, forse coraggiosi, sicuramente arditi ed anticonformisti, qualche volta folli. In tante occasioni costretti ad accontentarci di affermare appena la nostra esistenza, la nostra fede, il nostro legame con una tradizione che arrivava da lontano. Anche con rituali, con segni e gesti esteriori, pur di testimoniare l’appartenenza. Anche con gesti sciocchi, inutili e qualche volta incoscienti. Come presidiare quattro manifesti all’interno di una facoltà universitaria, roccaforte di quelli che erano i ‘nemici’ e per i quali eri un ‘nemico’. Spesso la scintilla scoccava per molto meno.
Una sequela infinita di episodi, incontri, eventi, riunioni, raduni, congressi, cortei che servivano a rafforzare le Idee ed a consolidare i rapporti umani. Dal sogno ho estrapolato i nomi di Toto, Corrado, Giampiero, Roberto, Pierfrancesco, Gilberto, Maurizio, Fabio, Gianfranco, Gianni, Massimo, Alessio, Massimiliano, Agostino, Raffaele, Giustino, Marzio e Nicola…
Ma sono certo di dimenticarne tanti.
Ricordo gli slogan dei pochi cortei ai quali si riusciva a partecipare, tra i più gettonati e gridati all’unisono “Il comunismo non passerà”, “Contro il sistema la gioventù si scaglia, boia chi molla è il grido di battaglia”, “Europa Nazionale Rivoluzione”.
Ricordo che, negli stessi cortei, gli slogan erano accompagnati da una selva di braccia tese, alla faccia della legge Scelba. A riprova che ‘me ne frego’ era il nostro motto.
Ricordo che qualcuno dopo aver scalato il vertice del partito - mi pare Gianfranco - diceva “l’identità che il Msi orgogliosamente rivendica non è tesa a restaurare un regime, bensì a rilanciare valori che quel regime teneva ben presenti”. (La Repubblica - 31 ottobre 1992)
Ricordo che a Strasburgo, in occasione un raduno giovanile delle destre europee, durante la cena di gala scandalizzammo i puritani assai ’lib-dem’ di alcuni movimenti del nord Europa, cantando a memoria “Cara al sol” in omaggio a Blas Pinar, leader spagnolo di Fuerza Nueva.
Ricordo che qualcuno - mi pare Gianni – nel suo documento di candidatura alla segreteria del FdG scriveva “tutti i fenomeni di nostalgismo inutile non hanno nulla a che fare con la difesa delle nostre radici storiche fasciste”. (“Per una rifondazione comunitaria del movimento giovanile” – maggio 1988)
Ricordo che in ogni sezione del FdG c’era almeno un ritratto o una foto mussoliniana e chissà quanti libri che parlavano di Lui.
Ricordo che per protestare contro l’imperialismo americano e per ricordare i Caduti della Rsi qualcuno – mi pare Fabio e Gianni - prese tante manganellate dalla polizia, fu arrestato e denunciato.
Ricordo che in tante città il 28 aprile si celebrava una messa in ricordo dei Caduti per l’Idea.
Ricordo che in un ‘quaderno’ del FdG qualcuno – mi pare Maurizio - tra i riferimenti culturali inserì anche la Carta del lavoro ed i diciotto punti di Verona. (“Memoria, idee, futuro della Giovane Destra” - settembre 1989)
Ricordo tante altre cose, che evocavano un clima, uno stato d’animo, una tensione ideale, una memoria storica. Ma sopratutto ricordo che, anni dopo, tanti erano diventati qualcosa. Chi deputato, chi senatore… chi assessore, chi sindaco… chi ministro, chi presidente.
Ai tempi della militanza, non era quello il nostro obiettivo finale, ma poteva rappresentare una tappa importante del nostro percorso per contare, per decidere, per affermare i nostri valori. Sempre però - dicevamo – all’insegna del “non rinnegare, non restaurare”, come insegnatoci dai padri fondatori.
Poi, mi sono destato ed ho capito che era solo un sogno. Un sogno avvincente, ma il frutto di un delirio onirico. Da sveglio non c’era più traccia di quell’appartenenza. Chi più chi meno si è affrettato a svicolarsi, a defilarsi, a smentire, a spiegare, a giustificare, a negare, tanti a silenziare... Insomma, si cantava, si gridava, si leggeva, si salutava, si affermava, si giurava, ma non siamo mai stati… Non siamo 'ex', tanto meno 'neo' o 'post'.
Ma allora... chi eravamo?

domenica 11 maggio 2008

I conti tornano...

Adesso ho finalmente capito perché spesso siamo stati tacciati di essere troppo conservatori. Ebbene sì, anche io sono stato vittima di un vizio antico, quello di conservare tutto quel che ha riguardato la militanza giovanile politica, a mio avviso utile: volantini, manifesti, ritagli, tessere, giornali, lettere ecc... Roba da museo, che farebbe la gioia degli archeologi della ricerca storica. Ognuno di noi, accaniti conservatori, potrebbe contribuire ad un ricco archivio della destra in Italia e potrei fare la mia parte per il periodo anni '70-'80.
Curiosando in un indicibile guazzabuglio di carte, oltre l’ordine disorganico (curioso esempio di ossimoro), unico cruccio sono stati gli strati di polvere che negli anni si erano accumulati. Patina grigia dello stesso tipo dichiarato dall’allora segretario del Msi, qualche mese prima della nascita di Alleanza Nazionale (1994): «Ci sono due dita di polvere sull'Opera Omnia di Mussolini». Disse al giornalista che lo intervistava, insospettito da quei volumi ancora presenti nella libreria del suo ufficio. Libri che forse fanno ancora bella mostra in tante sedi di AN, ma soprattutto negli studi e nelle case di tanti alleati nazionali, di base e di vertice.
Era il primo atto, spesso dimenticato, di quella lunga conversione che a ‘tappe forzate’ l’ha portato a diventare Presidente della Camera. Scranno da vertigini che ha contribuito a fargli individuare nella data del 25 aprile (a 23 anni dalla famosa epigrafe fiuggiana «Usciamo dalla casa del padre con la certezza che non vi faremo ritorno» - gennaio 1995) una giornata nella quale «si onorano valori autenticamente condivisi e avvertiti come vivi e vitali da tutti gli italiani». E sottolineo 'tutti'.
Tornando alle particelle, o meglio al materiale che sotto di esse si era accumulato nel tempo, la mia attenzione è stata attirata da un pezzo certamente raro: una copia di “All’Orizzonte”, giornale del Fuan dell’era Menia (oggi deputato triestino del Pdl). Esattamente dal numero che accompagnò il XVI congresso del Msi a Rimini nel gennaio 1990, evento cruciale nella storia missina perché per la prima volta (ed anche ultima) Pino Rauti fu eletto segretario nazionale del partito, peraltro con l'appoggio dei vecchi 'tromboni' missini (chi c'era si ricorderà le 'bottiglie volanti' ed i cori "Badoglio, Badoglio.." rivolti a Servello, Pazzaglia e soci).
In prima pagina campeggia un titolo a cinque colonne “Il Msi verso il Duemila” per introdurre un’intervista a Gianfranco Fini, a cura di Italo Bocchino (odierno deputato e vicecapo gruppo del Pdl).
Proprio oggi - dopo appena 17 anni, ininterrotti e senza congressi, alla testa del partito (prima Msi, poi An) - il 'dominus' lascia spontaneamente la carica, quale migliore occasione per offrire ai lettori del blog Spigoli, come fosse un buon bicchiere di spumante, una delle risposte all'intervista, incredibilmente lungimirante: «Da un lato è incredibile come a pochi anni dal 2000 ed a quasi mezzo secolo dalla fine della seconda guerra mondiale ci sia ancora chi ritiene che il rapporto tra il Msi e il Fascismo debba essere unicamente una ostentazione nostalgica e quindi priva di qualsiasi significato politico, di quelli che furono i simboli e le modalità di espressione del Fascismo stesso. Da altra parte è anche preoccupante che all’interno del Msi vi siano delle tendenze, sia pure non espresse con altrettanta forza, di sostanziale storicizzazione, di archiviazione dell’esperienza fascista. Il Fascismo certamente costituisce la radice del Msi e se qualcuno oggi chiede al Msi una sostanziale abiura nei confronti del Fascismo per ottenere una sorta di passaporto per l’inserimento nella politica nazionale, questo qualcuno è destinato ad avere una solenne smentita. Una abiura del Fascismo non è politicamente utile né moralmente accettabile, soprattutto in un momento in cui la Storia dimostra che per capire questo XX secolo è necessario capire appieno il Fascismo, e un po’ tutti, noi e i nostri avversari, dobbiamo fare i conti con quella esperienza e con quella eredità».
Oggi, tutti sappiamo come sono stati fatti i conti...

giovedì 8 maggio 2008

La maledizione di Montecitorio

Sarà per l’alone da menagramo che, dai tempi di Tangentopoli, aleggia sul più alto scranno della Camera dei deputati, ma per Gianfranco Fini si prefigurano tempi duri. Per fare un rapido ripasso storico, ecco una serie di carriere stroncate nell’aula di Montecitorio.
Nel 1994 si registrò l’avvento della leghista Irene Pivetti, che dopo quell’avventura ha brillato più come ballerina ed opinionista che in politica; due anni dopo arrivò il magistrato Luciano Violante, che - pur di annusare l’ipotesi di candidarsi ‘super partes’ per il Quirinale - fu anche capace di ricordare il sacrificio dei ragazzi della Repubblica Sociale Italiana, ma arrivò appena a presiedere il gruppo parlamentare diesse prima di abbandonare la scena, in quanto non ricandidato ad aprile; nel 2001 e nel 2006 fu il turno di Pierferdinando Casini e di Fausto Bertinotti, le cui ambizioni politiche sono state recentemente frustrate dalla legge elettorale e dai voti conquistati.
Per un buon calcolatore come Fini, aver azzardato una classifica dei reati (“Gli scontri anti-israeliani di Torino egli attacchi di naziskin a Verona non sono paragonabili… Quel gruppo che si definisce neonazista va punito, ma quello che accade a Torino, dove frange della sinistra radicale danno vita ad azioni violente che cercano una giustificazione con una politica antisionista, è più grave” Porta a porta/Rai1 – 5 maggio 2008) appare come una voce dal sen fuggita colpevolmente nel comodo salotto vespiano, e non certo un maldestro tentativo di difesa dell’area di provenienza politica. Come da sinistra hanno strumentalmente provato ad argomentare i nostalgici del teorema antifascista. Per tutti, uno dei più dotti, il professor Piero Ignazi, autore di alcuni libri sulla destra politica: “Chi ha dei peccati di origine deve sempre mostrarsi più vergine degli altri”. (Europa – 7 maggio 2008)
Bensì, rappresenta un esasperato frutto dell’affannosa dedizione che da alcuni anni viene manifestata a qualsiasi costo dal ‘quasi ex’ presidente di Alleanza Nazionale. Una sorta di infinito debito contratto per ottenere legittimazione ed accreditamento, così da essere accettato nelle stanze del potere senza che alcuno possa ricordargli chi fosse e cosa dicesse, neanche troppi anni or sono. Una forzatura tanto maldestra che, nonostante le difese d’ufficio degli amici del Pdl, ha incassato anche la bocciatura dello schietto sindaco leghista di Verona, Flavio Tosi, pronto a prendere le distanze: “Sono due piani diversi e ben distinti. Là sono opinioni, qui c’è un ragazzo morto. Fini ha detto una boiata". (Corriere della Sera – 7 maggio 2008)
Strano a dirsi, invece è stato promosso a pieni voti dall’ambasciatore israeliano in Italia, Gideon Meir: “Non so abbastanza e non voglio fare riferimento ai fatti di Verona”, ma sulla vicenda di Torino “sono assolutamente d’accordo con Fini”. (Corriere della Sera – 6 maggio 2008)
Sulla triste ed ignominiosa vicenda veronese si sono già scritti fiumi di inchiostro, è perciò superfluo sprecarne altri per ripetersi. Quindi - oltre a sottolineare come i media stiano sguazzando senza ritegno utilizzando una terminologia che richiama subito alla mente una certa parte politica (ahinoi, quanti danni arreca ancora aver perso la ‘guerra delle parole’, spesso senza neppure aver cercato o saputo combatterla, vedasi anche alcune fasi goffe dell’ultima campagna elettorale de La Destra) - voglio offrire alla riflessione una lettura esente da strumentalizzazioni, lasciando la parola a Maurizio Blondet: “I massacratori di Verona, gli scolari di Viterbo che incendiano i capelli al compagno povero e campagnolo, lo riprendono col telefonino e diffondo l’impresa su internet, la dodicenne che paga il bullo di classe perché bastoni un’altra dodicenne rivale in amore, l’innamorato che accoltella l’ex fidanzata, le centinaia che a Torino hanno aggredito i vigili urbani per difendere uno di loro che veniva multato, sono il frutto di 40 anni di educazione scolastica sempre più facile e perciò più vacua e vuota - che infine ha rinunciato ad insegnare anche le semplici buone maniere - e di una pedagogia anti-repressiva che ridicolizza la disciplina ed ogni autorità.” (www.effedieffe.it – 6 maggio 2008)

P.S. = In verità, se non avesse brillato in questa occasione, mi sarebbe piaciuto fare alcune considerazioni sull’elezione e sul discorso di insediamento del nuovo Presidente della Camera. Ma ci sarà tempo…

domenica 4 maggio 2008

Segnali di vita

E’ una festa che non sembra terminare. Con Alemanno sindaco di Roma si è completato un ciclo di successi elettorali coi quali il Popolo delle libertà ha cancellato, almeno per cinque anni, la sinistra dal Governo nazionale e dalla Capitale d’Italia. Il successo romano non è stato solo il culmine di una battaglia elettorale, in questo caso amministrativa, ma anche un emblematico segnale di vita. Sarebbe un colpevole errore se la comunità politica schierata a destra non lo valutasse appieno. Se non accadrà qualcosa di imprevisto, ancora una volta nella storia della destra italiana accade un fatto strano. Infatti, dopo una positiva prova elettorale - che attesta come negli italiani non alloggia alcuna ‘pregiudiziale antifascista’ (questa volta sono falliti anche i disperati richiami della comunità ebraica) e di come la classe dirigente formatasi nel Movimento Sociale Italiano a partire dagli anni ’70, ma soprattutto nel Fronte della Gioventù e nel Fuan, sia in grado di raccogliere il consenso per governare e guidare il rinnovamento della Nazione - i vertici del partito preparano una svolta di annacquamento identitario.
Era successo nel 1993, quando - sempre a Roma - Gianfranco Fini candidato sotto le insegne del Msi (non esisteva alternativa neanche nei sogni dei missini più tiepidi…) arrivò ad un passo dal battere Rutelli nel ballottaggio delle Comunali. Ma, nonostante il positivo risultato, nel 1994 venne ideato e deciso lo scioglimento del Msi e la sua confluenza in un nuovo partito: Alleanza Nazionale, nata con il congresso di Fiuggi nel gennaio 1995.
Ed iniziò un’altra storia.
Oggi, nel 2008, Gianni Alemanno riesce addirittura ad aggiudicarsi il ballottaggio contro Rutelli, ma è già in programma un congresso di An (addirittura il primo dopo quello di Fiuggi, cioè dopo ben 13 anni!!!) per decretare il suo scioglimento e la confluenza in un nuovo partito: il Popolo delle libertà. E sarà un’altra storia.
Una coincidenza? Forse... Comunque, per l’ennesima volta si tratta di un disegno strategico scritto a tavolino, sulla pelle ed alle spalle di tanti dirigenti e militanti sparsi sul territorio e mai consultati.
Ora, proprio il vincitore dell’impossibile sfida romana appare come l’unica possibile salvezza per chi ancora non considera ineluttabile il progetto di partito unico. Un’idea di contenitore all’interno del quale mischiare impropriamente uomini, culture, storie e simboli, invece che una federazione di partiti, di un cartello elettorale o di qualche altra diavoleria che i geni della politica nostrana potrebbero inventare.
Il valore aggiunto di questo successo romano, molto più alemanniano di quel che appare, e la contemporanea ‘ritirata’ di Fini su uno scranno istituzionale ‘super partes’, con conseguente promessa di cedere lo scettro di An (lui confida per pochi mesi…), creano una condizione inedita: la possibilità che l’ex leader della Destra sociale (il neo sindaco di Roma la creò con Francesco Storace proprio in funzione antifiniana) decida di impadronirsi dei gangli vitali del partito e rimetta in discussione l’adesione ‘sic et simpliciter’ alla creatura berlusconiana. Nient’altro che un suo vecchio sogno, mai neanche accennato.
Chi ha vissuto al suo fianco tanti anni di dirigenza giovanile non lo ha dimenticato protagonista di tante battaglie difficili, al limite dell’impossibile: prima nel Msi con Pino Rauti protagonista dello sfondamento a sinistra, deciso nemico della definizione di destra avendo abbracciato la teoria del posizionamento ‘al di là della destra e della sinistra’, poi in An quando scelse la sua collocazione interna creando la corrente identitaria della Destra sociale, quindi in anni recenti, agli albori del dibattito sul partito unico, quando sosteneva che An dovesse rifondarsi profondamente
«non per perdere la propria identità, ma per perdere ogni subalternità nel centrodestra» (La Repubblica – 14 luglio 2006) e dubbioso sulla svolta: «non si può partire dal partito unico e archiviare tutto il resto». (Il Tempo – 20 luglio 2006) Fino alla tempestiva risposta all’annuncio finiano: «Qualsiasi ulteriore passaggio organizzativo, dovrà essere verificato e sancito attraverso un congresso nazionale» (Ottoemezzo/La 7 – 9 febbraio 2008)
Una buona occasione per i tanti aennini o ex-missini (per chi non crede che esista una sacca di resistenza, suggerisco un viaggio tra blog e siti di area, in particolare quelli di Azione giovani) che nonostante l’impegno pro-Pdl in campagna elettorale hanno ancora più di un dubbio. Determinate ciò che in An finora è stato una chimera, quel dibattito interno nel quale far sentire la vostra voce, il vostro dissenso, affermare i vostri dubbi, ribellarsi all’idea che uno decida per tutti. Solo dopo si potrà, con maggiore coscienza e consapevolezza, fare una scelta.
Per creare qualche segnale di vita, non è mai troppo tardi…

lunedì 28 aprile 2008

Un contributo al toto-ministri…

La vittoria di Gianni Alemanno a Roma (intanto, spazio alla soddisfazione per aver visto sottratta un’altra pedina – ecche pedina !!! – alla sinistra, poi verrà il tempo dell’analisi sui significati di tale successo nello scenario della politica nazionale…) libera una casella ministeriale.
Considerato che in questi giorni tv e giornali si sono sbizzarriti nel toto-ministri, nel toto-viceministri e nel toto-sottosegretari, domani ripartirà questo ameno passatempo. Sommessamente anche il blog Spigoli vorrebbe partecipare a questo spasso nazionale. E prima che sia troppo tardi, raccoglie l’appello della ri-deputata nazionale Alessandra Floriani, che ha preannunziato un’iniziativa originale. Considerando che finora nessuno l’aveva inserita nelle liste dei papabili, ha deciso di proporsi con grinta e sex appeal: “Quando non hai raccomandazione che fai? Metti un annuncio sul giornale: aaa mi offro… Mi offro pubblicamente. E’ molto più trasparente”. (Il Giornale – 23 aprile)
Appunto quel che serve è sapersi offrire, una certa trasparenza, qualcosa di sensazionale. Ma anche evidenziare il settore di riferimento: “Sono esperta di temi sociali: le donne, l’infanzia, sono sempre state le mie materie. La famiglia è la cosa più importante della mia vita”. Potrebbe non bastare, quindi spazio alle qualità caratteriali (“Consolidate qualità relazionali…”), quelle prettamente ministeriali, che tanto piacciono a Berlusconi (“Un aspetto piacevole…”) e quelle maliziosamente congenite (“Io sono una fuori quota per natura…”). Era opportuno corredare il curriculum con un’immagine rappresentativa della candidata, che accelerasse la scelta: “Esclusi perditempo. Non voglio che mi si dica: ti faremo sapere..."
Confido che la scelta sia azzeccata.

sabato 26 aprile 2008

Quale ruolo per An nel Pdl?

Ho avuto un incubo. Era l’ultima manifestazione per Alemanno sindaco di Roma, in piazza Navona. In una serata piovosa, sul palco erano in tre… Al centro il Cavaliere che arringava la folla… Al suo fianco, ognuno aveva un ruolo ben preciso... Mi sono svegliato tormentato da un dubbio: che sia l’immagine-metafora del futuro di Alleanza nazionale all’interno del Popolo della libertà?

venerdì 25 aprile 2008

Dubbi e certezze...

«Credo fermamente che oggi ci siano le condizioni storiche e politiche perché il 25 aprile possa rappresentare un salto di qualità verso la definitiva pacificazione nazionale. Quando, quasi dieci anni fa, autorevoli esponenti della sinistra invitavano a capire anche le ragioni dei 'ragazzi di Salò' e quando più recentemente hanno invitato a saldare il debito contratto con gli esuli Istriano-dalmati e con chi, più sfortunato, finì infoibato, hanno indicato la strada giusta.»
Ancora parole di Giorgio Almirante, che considerava la pacificazione nazionale una "suprema esigenza morale"? No.
Qualcuno dei ‘nostalgici’ dell’estrema destra, Luca Romagnoli o forse Teodoro Buontempo? No.
Un distratto Gianfranco Fini in preda a reminiscenze di quando auspicava con enfasi il “fascismo del 2000”? No.
Un audace Gianni Alemanno proteso al compiacemento degli elettori della Destra-Fiamma Tricolore, quelli che domenica potrebbero consentirgli, nonostante il rifiutato apparentamento, di diventare Sindaco di Roma? No.
Alessandra Floriani in preda ad una nuova visione onirica del nonno? No.
Tenetevi forte... sono le parole odierne di un inaspettato Silvio Berlusconi. Sì proprio lui, il prossimo Presidente del Consiglio. Mi sorge il dubbio che avesse ragione Marcello Veneziani che, intervistato da Skytg24, così commentò il risultato elettorale: «Gli elettori di destra hanno votato il Pdl più per Berlusconi che per Fini, eclissatosi all’ombra del Cavaliere.»
Ma ora gli elettori di destra, fedeli alla propria storia, avranno garanzie da Berlusconi, gli impedirà di diventare il suo erede?

giovedì 24 aprile 2008

25 aprile:
per una memoria accettata e rispettata

“La pacificazione nazionale non può essere prospettata agli altri se non comincia da noi e se non si evidenzia in tutte le nostre parole, in tutte le nostre iniziative responsabili… se ne sono pienamente convinti tutti coloro che sono sempre stati e continuano ad essere vicini al Movimento Sociale Italiano… se ne sono pienamente convinti coloro che si onorano di aver militato nella Rsi, coloro che hanno fatto la dura scelta dei campi di concentramento ‘non collaboratori’, coloro che hanno subito galera ed epurazioni. E’ difficile, è addirittura impossibile che chi ha pagato di persona per una causa morale e nazionale, non sia oggi pienamente disponibile per pagare di persona per una causa altrettanto morale e nazionale.”
Così - nel lontano 1972 - Giorgio Almirante parlava di pacificazione nazionale che definiva “suprema esigenza morale”. Parole ancora attuali, perché nulla è cambiato. Dopo 36 anni - ed a 63 anni dalla fine della guerra civile - una parte d’Italia festeggia ancora in pompa magna la ricorrenza del 25 aprile come anniversario della liberazione, festeggiando un’insurrezione minoritaria che influì ben poco sull’esito finale, una vittoria nazionale che non ci fu, un conflitto che gli stranieri vinsero per conto degli italiani, impegnati in una guerra fratricida. Eppure, il 48,9% degli italiani non sente questa data come festa nazionale ed il 21,5% non sa neanche cosa viene celebrato. (Sondaggio Ferrari Nasi & Grisantelli, 4 aprile 2008)
Un evento che si rivitalizza a ridosso delle sconfitte elettorali della sinistra, come già avvenne nel 1994, e questa volta, con la scomparsa dei comunisti dal Parlamento, la rabbia è tanta. “Bella ciao” e “Fischia il vento”, accompagnate dalle bandiere rosse e dai pugni chiusi verso il cielo, saranno le colonne sonore della rivincita dei 'trombati'. Una celebrazione che “non sarà mai una festa condivisa fino a che non si rimuoverà il suo lato oscuro e criminale, messo in luce da Pansa, circa le stragi e le bestialità commesse a guerra finita”. (Marcello Veneziani – Libero, 24 aprile 2008) Un lato oscuro e criminale sul quale si è aperto un piccolo scorcio di verità, un tragico capitolo di storia patria del quale non si sente parlare senza l’anacronistica retorica dell’antifascismo di ritorno.
Urge ritrovare la memoria, che non potrà essere condivisa, ma almeno accettata e rispettata reciprocamente. Serve favorirla ricordando con rispetto tutti i caduti della guerra civile. Con un’iniziativa che rischia di incontrare l’ostilità di entrambe le parti in causa: attraverso le testimonianze scritte dalle due parti in lotta, rendendo così onore a chi ha lottato ed è caduto in nome delle proprie Idee.

Da “Lettere dei condannati a morte della Repubblica Sociale Italiana”
«…ieri sera dopo che mi è stata comunicata la notizia, mi sono disteso sul letto e ho provato una sensazione che già avevo conosciuto da bambino: ho sentito cioè che il mio spirito si riempiva di forza e si estendeva fino a divenire immenso, come se volesse liberarsi dai vincoli della carne per riconquistare la libertà. Non ho alcun risentimento contro coloro che stanno per uccidermi perché so che non sono che degli strumenti scelti da Dio che ha giudicato sufficiente il ciclo spirituale da me trascorso in questa vita presente. Cara mamma termino la lettera perché il tempo dei condannati a morte è contato fino al secondo. Sono contento della morte che mi è destinata perché è una delle più belle essendo legata a un sacro ideale. Io cado ucciso in questa immensa battaglia per la salvezza dello spirito e della civiltà, ma so che altri continueranno la lotta per la vittoria che la Giustizia non può assegnare che a noi.»
Franco (18 anni)

Da “Lettere dei condannati a morte della Resistenza”
«Muoio per la mia patria. Ho sempre fatto il mio dovere di cittadino e di soldato. Spero che il mio esempio serva ai miei fratelli e compagni. Iddio mi ha voluto, accetto con rassegnazione il suo volere… Non piangetemi, ma ricordatemi a coloro che mi vollero bene e mi stimarono. Viva l’Italia. Raggiungo con cristiana rassegnazione mia mamma che santamente mi educò e mi protesse nei vent’anni della mia vita. L’amavo troppo la mia patria: non la tradite e voi tutti giovani d’Italia seguite la mia via e avrete il compenso della vostra lotta ardua nel ricostruire una nuova unità nazionale. Perdono a coloro che mi giustiziano, perché non sanno quello che fanno e non pensano che l’uccidersi tra fratelli non produrrà mai la concordia… i martiri convalidano la fede in una Idea. Ho sempre creduto in Dio e perciò accetto la sua volontà.»
Giancarlo (20 anni)

mercoledì 23 aprile 2008

Finché la barca va, ma se affonda…

Qualche numero non guasta per leggere gli esiti elettorali. Innanzitutto, non teme smentite l’affermazione che il risultato dei ‘partiti contenitore’ è stato fortemente ed abilmente mistificato ed esaltato. Infatti, nonostante la forza territoriale e l’intensa battaglia mediatica sul ‘voto utile’, i partiti che, volenti o nolenti, hanno rifiutato di diluirsi nel Pdl/Pd non sono stati schiacciati - con l’unica eccezione della Sinistra Arcobaleno - seppure alcuni siano scomparsi o ridimensionati nello scenario parlamentare.
Nel dettaglio, parlando dei vincitori è interessante sottolineare che il Popolo della libertà (Forza Italia più An, Alternativa sociale, Dc/Nuovo Psi e Partito pensionati) nel 2008 ha avuto il consenso di 13.628.865 cittadini ed il 37,3%, perciò rispetto al 2006 ha perso più di 1 milione di voti (erano 14.629.876) ed 1 punto di percentuale (38,3%). Senza considerare che non è facile quantificare - ma c’è stato - l’apporto elettorale dei Popolari liberali (erano nell’Udc), dei Diniani (erano nell’Ulivo) e dei transfughi dell’Udeur che hanno aderito al Pdl prima delle elezioni. Quindi, qualcuno dei soci fondatori ha perso per strada un po’ di consenso.
Ad individuare il colpevole ci hanno provato gli studi dei flussi elettorali. Non sarà azzardato individuare il maggior responsabile in Alleanza Nazionale, abilmente mimetizzata nell’invenzione berlusconiana. Arrivano sicuramente dal parco aennino quei 653.486 elettori che hanno incrementato il bottino conquistato alla destra di An nel 2006 e che si sono riversati su La Destra. Dovrebbe essere quel 2.9% in fuga dal Pdl verso il partito di Storace evidenziato da un’analisi dell’agenzia Poggi&Partners. A chi attribuire, invece, quel 9% arrivato alla Lega? Con interessanti riscontri in Veneto (33,2%), Lombardia (17,2%), Friuli Venezia Giulia (16,6%), Trentino Alto Adige (15,7%) e Piemonte (11,1%). Se portiamo a giovamento del ragionamento anche l’analisi di Mannheimer, i sospetti trovano conforto. Secondo il sondaggista, dei 100 voti presi dal Pdl la quota An è di 25, dato che corrisponde a circa il 9,3% ed a poco più di 3.400.000 cittadini. Perciò, dal 2006 il saldo negativo sarebbe di circa 1.300 elettori e di 3 punti in percentuale, rappresentando più di un quarto del proprio patrimonio.
Il Codice della navigazione stabilisce che sia il comandante a dare l’ordine di abbandonare la barca che affonda ed a farlo per ultimo. In questo caso, invece, l’abile e lungimirante Comandante, dopo aver trascorso diversi mesi ad attaccare furentemente il Cavaliere, ad appena settanta giorni dalle elezioni ha deciso motu proprio di convolare a nozze con lui, trasbordando in tempo utile l’equipaggio sulla barca rivale e mischiandosi tra le bandiere delle truppe berlusconiane. Ora, abbandonata la barca al suo destino (in attesa di colarla a picco nel prossimo autunno) ed apprestandosi a dirigere un altro ‘transatlantico’, il Comandante ha deciso, con spirito magnanimo, di far reggere il timone a qualcun altro. Buona rotta.

sabato 19 aprile 2008

La Storia può sentenziare il 'voto degno'?

In questa campagna elettorale si è sentito di tutto. Prima qualcuno ha parlato di ‘voto utile’, poi di ‘voto disgiunto’. Si è affacciato timidamente anche il ‘voto inutile’. Da anni conosciamo il ‘voto di protesta’ ed il ‘voto di scambio’. Ancora mancava il ‘voto degno’, ma non si è fatto attendere.
L’operazione è di alcuni esponenti della comunità ebraica romana che hanno ‘intimato’ ad Alemanno di non accettare alcun apparentamento con la lista La Destra-Fiamma tricolore per il ballottaggio a Sindaco di Roma.
Sentir riecheggiare in campagna elettorale la persecuzione contro gli ebrei e le leggi razziali degli anni ’30 (a proposito, qualcuno sa dire quante volte chi milita a destra, affinché sia valida, deve esprimere la condanna per un capitolo di storia patria di settant’anni fa?) desta qualche perplessità, soprattutto in merito all’attinenza. Un dubbio sorge spontaneo... Che si tratti del consueto uso strumentale della storia per incidere sulla politica e porre un’ipoteca sulla libera scelta dei cittadini?
Se così non fosse, considerando che il regime comunista sovietico ha avuto grosse responsabilità sulla morte di numerosi ebrei nell’Urss (lo scrittore russo Arkady Vaksberg nel suo volume “Stalin contro gli ebrei” sostiene che gli ebrei eliminati da Stalin siano stati «presumibilmente cinque milioni») perchè non chiedere a Rutelli di rifiutare i voti di Rifondazione Comunista e dei Comunisti Italiani, conclamati eredi di quella tradizione? Oppure - se Riccardo Pacifici, Tullia Zevi & C. non avessero buona memoria – potrebbe essere la comunità ucraina in Italia a prendere posizione contro il candidato Sindaco del Pd, infatti negli anni ’30 furono almeno 7 milioni le vittime del genocidio di quel popolo perpetrato dalla Russia stalinista.
Non è sufficiente? Allora, diritto di parola alla comunità armena (nel 1915-16 ha subito uno sterminio di oltre un milione ad opera dei turchi) che potrebbe contestare Alemanno perché il Pdl è favorevole all’ingresso della Turchia nella Unione Europea. Indegno sarebbe trascurare i nostri connazionali istriano-dalmati, che - prima vittime dei partigiani comunisti del maresciallo Tito nelle foibe, poi protagonisti dell’esodo con totale privazione dei propri beni da parte della Jugoslavia 'rossa' - avrebbero avuto ottimi motivi per fare appelli eterni al voto anticomunista, ma che si sono sempre riservati di esercitare la loro scelta nel segreto dell’urna. Infine, se avessimo una consistente comunità cecena, questa avrebbe potuto ricordare che Vladimir Putin (loro peggior nemico, detto con un abile eufemismo) vanta una consistente amicizia col Cavalier Berlusconi, fino ad essere omaggiato di uno spettacolo live del Bagaglino.
Per evitare lo scatenarsi delle infinite recriminazioni storiche e l’avvio di una serie incrociata di veti, sarebbe opportuno consegnare definitivamente la storia alla ricerca storica, senza consentire che le vicende del passato possano condizionare le preferenze elettorali di chi sceglie i propri futuri amministratori tra coloro che si affrontano legittimamente nella loro diversità. Ma la storia costantemente percorsa a senso unico, al fine di utilizzarla come una spada di Damocle sulla testa degli Italiani, e l’influenza sulla vita sociale ed economica del Paese - oltre al numero cospicuo dei suoi elettori - della comunità ebraica non mi rendono fiducioso.

giovedì 17 aprile 2008

Un Ministero non si nega a nessuno...

In tempi non sospetti (prima del risultato elettorale...) avevo assegnato qualche premio oscar ad alcuni ‘nominati’ nelle liste elettorali che - ben consapevoli di non essere sottoposti al giudizio popolare (il popolo è stato arbitrariamente privato dell’esercizio della preferenza) - parlavano e straparlavano con una sincerità debordante. Confidavo che ad obiettivo raggiunto il ‘vizietto’ venisse accantonato. Folle illusione. La tentazione di ispirare titoli a quattro colonne è troppo forte. In particolare, il vincitore dell’Oscar della modestia, timoroso che altri onorevoli colleghi potessero insidiare il suo premio, a scrutinio appena chiuso, ha piazzato il colpo che lo mette al riparo da sgradite sorprese.
Mi riferisco al poliedrico Luca Barbareschi, 'nominato' in Sardegna col PdL con destinazione Montecitorio, che blindò il giudizio con un colpo doppio di rara modestia: “Ho un curriculum professionale che in Italia non ha nessuno” e “Alla riunione dei candidati tutte queste bellezze non le ho viste, ma forse i miei standard sono più alti.” (Libero - 16 marzo)
Questa volta, seppure condito da un pizzico di ironia, si è avventurato in un paragone internazionale e - considerando che Veltroni ha usato la carta George Clooney per cercare di conquistare consenso - ha sentenziato: "Il fatto che io abbia abbracciato Berlusconi vuol dire che ho più fascino di Clooney...” (Radio 101 – 16 aprile)
Avendo più volte dichiarato la sua ambizione ministeriale, lo propongo - certo che sarà senza rivali - al Ministero dei Belli Culturali.

martedì 15 aprile 2008

Crollano le identità, restano le poltrone

I ‘ludi cartacei’ sono terminati, il verdetto è stato emesso. Emergono due veri vincitori: uno previsto (Berlusconi), uno imprevedibile (Lega), soprattutto per le dimensioni del risultato. C’è uno sconfitto evidente, ma non previsto: il cartello della Sinistra radicale. Festeggiano anche Di Pietro (ha quasi raddoppiato il suo pacchetto di parlamentari e sarebbe entrato alla Camera anche da solo) ed il siciliano Lombardo (piazza alcuni parlamentari, ma soprattutto trionfa alle regionali in Sicilia con oltre il 60%). Si può rallegrare l’Udc: alla Camera ha perso appena tre deputati ed è presente al Senato, seppure uno dei suoi sarà il chiacchierato Totò Cuffaro. Perdenti nel risultato finale, ma senza alcuna sorpresa, il Partito Democratico (impegnato in una rimonta impossibile dopo i guai del governo Prodi) ed il Partito Socialista (anche perché sotto l’1% non riceverà contributi elettorali).
Discorso a parte per La Destra, dove lo sport preferito sarà vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Mezzo pieno: quasi un milione di voti, più che raddoppiate le percentuali della destra radicale, capacità di resistere alla tenaglia mortale del bipartitismo, appena 239.000 voti in meno rispetto al cartello dei quattro partiti della sinistra radicale, certezza di attingere ai contributi elettorali. Mezzo vuoto: nessuna rappresentanza parlamentare, risultato scadente nelle presunte roccaforti (in particolare, Lazio e Sicilia), incapacità di attrarre il consenso degli aennini delusi dal nuovo corso, defezione di alcuni fondatori che a poche ore dal voto si sono espressi per il 'voto disgiunto'.
Detto ciò e festeggiato lo scippo dell'Italia agli eredi di Prodi, i risultati meritano alcune considerazioni. E' evidente che la teoria del ‘voto utile’ - massicciamente diffusa da Veltrusconi - è stata recepita e metabolizzata dagli Italiani, che hanno premiato i due partiti contenitore (Pdl e Pd), seppure non nella misura auspicata dai loro leader: nel 2008, 70,56% con 25.721.863 voti contro il 69,6% e 26.458.198 elettori del 2006, e da questa ultima somma manca il non quantificabile elettorato radicale (era diluito nella Rosa nel pugno) e dei Popolari liberali (erano nell’Udc). Il valore aggiunto che li porta a sfondare l’80% dei consensi è evidentemente omaggiato dalla Lega e dall’Italia dei valori.
L’Italia, perciò, si avvia a passo spedito verso una semplificazione del sistema politico, che porta immancabilmente ad un pericoloso bipartitismo secco, unica eccezione saranno alcune alternative territoriali: Lega, Mpa, Svp, Uv. Non è difficile intuire che ai due partitoni, nel prossimo giro, sarà sufficiente ritoccare (o anche confermare) la quota di sbarramento, obbligando così Di Pietro ad aderire al Pd e Casini al Pdl, pena la loro sparizione. Et voilà, le jeux son fait.
Disegnato lo scenario nazionale, la maggiore delusione arriva da una comunità politica - con la quale si sono condivisi percorsi e ragionamenti (anche quelli critici sulla nuova svolta finiana) - che pur non apprezzando il progetto e la confluenza di An nel Pdl non ha trovato la forza o il coraggio per ‘boicottare’ in maniera indolore – nel segreto dell’urna, vista la consapevolezza della schiacciante vittoria berlusconiana – il cammino deciso dal ‘dominus’. Chi ha conosciuto e partecipato attivamente alla vita del Movimento Sociale Italiano, ma anche chi più giovane ne ha raccolto il testimone, non può che provare tristezza nel vedere come i suoi eredi morali (è una categoria ancora esistente in politica?) non siano stati in grado di impegnarsi per non cancellare dalla scena parlamentare un’identità politica, preservare una memoria, non archiviare maldestramente una storia, tenere accesa la fiamma tricolore a Montecitorio. Lo scrivo senza alcun timore di apparire sentimentale o ‘museale’, come piacerebbe a qualcuno che ha dimostrato non avere grande dignità. Era una scelta importante, più importante di quanto molti abbiano voluto pensare e capire. E’ stata gravemente disattesa.
Se si volesse far le pulci al progetto Pdl, sarebbe gioco facile fare le somme ed evidenziare che i conti non tornano. Nel 2006, Fi, An, Partito pensionati (transitato da Prodi a Berlusconi), Dc-Nuovo Psi ed Azione sociale avevano raccolto il 38,3% e 14.529.976 voti; nel 2008, 37,39% e 13.628.865 elettori, all’interno dei quali vanno considerate anche le briciole di Dini e di Giovanardi. Facile dedurre che la novità non ha avuto il valore aggiunto tanto atteso e che la prevista contrarietà al progetto, percepita a destra, si è canalizzata – oltre che su La Destra - al nord verso la Lega e probabilmente pure nell’astensionismo. Infastidisce anche l’arroganza di chi – avendo vissuto per anni una vita politica di opposizione, in posizione di minoranza che pareva eterna – oggi utilizza espressioni sprezzanti nei confronti di chi ha scelto di lottare per preservare un’identità. Paradossalmente, come ha fatto Fini interloquendo con Bertinotti durante Matrix, spingendosi a dire: “Senza alcuni di voi, il Parlamento sarà meno ricco di stimoli culturali”.
Mi resta un forte dubbio: queste elezioni hanno sancito la definitiva scomparsa del voto per le identità, lasciando spazio solo a quello per le poltrone?

lunedì 14 aprile 2008

Tutti allineati: la tavola è imbandita

E’ stato sfornato in piena campagna elettorale. “La destra in cammino. Da Alleanza nazionale al Popolo della libertà” è l’ultima fatica (in senso letterale, se si considera la rapidità nel produrre questo corposo lavoro editoriale: 322 pagine) di Alessandro Campi, professore associato di Storia delle dottrine politiche all’Università di Perugia e - dato politicamente più rilevante - direttore scientifico della Fondazione Farefuturo.
Alcune righe dell’introduzione chiariscono subito il senso del volume («Quelle del 13 e 14 aprile potrebbero essere elezioni storiche»), fortificato dall’imprimatur del recensore Luciano Lanna (sul Secolo d’Italia, quotidiano di An da lui diretto): «l’appuntamento elettorale di domenica rappresenta un oggettivo punto di non ritorno». Un lapidario concetto al fine di disilludere qualche speranzoso militante: la scomparsa del partito non può essere messa in discussione da qualcuno (sparuti oppositori interni) o da qualcosa (eventuale sconfitta elettorale). E se qualcuno dei lettori - con tessera di An ben conservata in tasca, tipo cimelio - non avesse capito gli avvenimenti di questi ultimi tre mesi, il Direttore ribadisce il cammino finiano come «necessario e coerente, culminato nella decisione di confluire nel nuovo grande contenitore del Pdl».
Insomma, è tutto già deciso, perciò è legittimo chiedersi quale ruolo avrà il congresso previsto per l’autunno, se non quello di una sontuosa kermesse di scioglimento e confluenza.
Gli scienziati della politica sono veramente imprevedibili. Nel caso in esame, da ‘gosthwriter’ - ma soprattutto ‘gosththinking’ - del ‘dominus’ cerca di dipingere a tinte rosa (o, se preferite, azzurre) lo scenario politico che si prefigura. Talmente abile da far miracolosamente ricomparire – questa volta però dal versante dove meno te l'aspetti – una perfida e pericolosa teoria, dove chi si richiama all’identità diventa fautore di un «ghetto fatto, più che di programmi e di proposte minimamente plausibili, di simboli del passato, di appelli ai valori e di parole d’ordine altisonanti ed evocative».
Complimenti per l’originalità della tesi, professor Campi. Ho il sospetto di aver sentito queste parole già negli anni '70, quando mi avvicinai alla politica militante, con tutte le conseguenze che chi c’era può ricordare perfettamente. Grazie alla politologia scritta a tavolino, cercheremo di capire come il progetto PdL sia la «grande politica», la novità che rappresenta «un’opportunità per molti versi unica”, «un’occasione d’oro per chiunque voglia fare politica partendo non dai proclami, ma dalle idee». Campi parla di una destra (se si potrà chiamare ancora tale, visto che il Cavaliere dice ben altro...) pronta a superare “una volta per tutte le idiosincrasie, i riflessi condizionati, le chiusure comportamentali e gli automatismi mentali ereditati dalla tradizione missina, che sinora avevano impedito ad An di aprirsi a un rapporto costruttivo ed egemonico con importanti settori della società italiana». Mentre, di converso, è retrogrado, gretto, zoticone, “vittima inconsapevole di una vera e propria trappola mentale” chi la pensa e la immagina diversamente.
Non è generoso limitarsi alle critiche. Perciò, è da apprezzare lo sforzo di Campi per conciliare, armonizzare, rendere in perfetta coerenza con una tradizione ideale (viste le feroci critiche alla storia della destra italiana, a quale si richiamerà?) questo nuovo percorso politico e ideologico. Fino a spingersi ad ispirare aperture al multiculturalismo, all’immigrazione e nel rapporto con le religioni.
C’è un dato su cui riflettere ulteriormente. Come mai tutti gli intellettuali di prima fila del versante destro - mi riferisco a quelli che contano, che scrivono tanto, che pubblicano, che hanno vetrine importanti, che fanno opinione - sono tutti entusiasticamente consenzienti al nuovo corso finiano? Forse, sono già seduti alla tavola imbandita del PdL e hanno la memoria corta?

P.S. = Come per ogni regola, c’è la debita eccezione: Marcello Veneziani che, essendo editorialista di punta di “Libero” (quotidiano sincero sostenitore del PdL), durante la campagna elettorale è stato (o si è) silenziato…

domenica 13 aprile 2008

Voto utile, voto disgiunto, voto inutile...

Hanno chiuso la campagna elettorale come l’avevano iniziata, sparandole grosse… Il Cavaliere - sempre prodigo di “ipotesi di scuola”, così le definisce quando non è sicuro che siano realizzabili – nelle ultime ore ha estratto dal cilindro l’abolizione del bollo auto e - come presidente del Milan - il probabile acquisto di Ronaldinho.
Ma Uolter non è stato da meno schierando Francesco Totti e Roberto Benigni, degustando un caffè al bar con George Clooney, nonché tranquillizzando i suoi potenziali elettori con una confessione strappalacrime – seppure non inedita - sul suo rapporto col comunismo: “Ero nella Fgci (organizzazione giovanile del Partito Comunista Italiano, ndf) ma non ero comunista”. Perché trascurare che nel 1976 è stato anche consigliere comunale del Pci a Roma, ‘ma anche’ eletto parlamentare del Pci (1987), ‘ma anche’ componente del Comitato centrale del Pci (1988), ‘ma anche’ direttore del quotidiano del Pci “L’Unità” (1992).
Che dire… disegna bene Alfio Krancic.

venerdì 11 aprile 2008

I fondi di caffè non mi servono più

Ci provo dall’8 febbraio, inutilmente... Manca solo la lettura dei fondi di caffè ed avrò esperito anche tutti i tentativi magici per avere una risposta. Insomma, qualcuno me lo sa dire: Alleanza Nazionale si scioglierà o non si scioglierà?
Il mistero è nato quella sera, sul portone di Palazzo Grazioli (per gli inesperti, sede romana di Forza Italia), dove il Presidente Fini ebbe l’illuminazione: "Condivido pienamente la proposta di Berlusconi di dare al popolo del 2 dicembre un'unica voce in Parlamento. Una pagina storica della politica italiana. Il 13 aprile nascerà nelle urne un nuovo grande soggetto politico ispirato ai valori del Ppe e quindi alternativo alla sinistra. Nei prossimi giorni chiederò doverosamente alla Direzione di Alleanza Nazionale di ratificare questa decisione.” (Rai News24, 8 febbraio)
Superfluo dire che la Direzione nazionale non trovò nulla da obiettare. I due ‘dominus’ avevano deciso secondo il loro stile: Forza Italia ed Alleanza Nazionale unendosi daranno vita ad una cosa nuova, rinunciando ai propri simboli ed al proprio nome. Così nascerà un nuovo partito: il Popolo delle Libertà. Il concetto era chiaro, ma il Presidente mi ha ulteriormente supportato confermando che il PdL “non sarà solo un cartello elettorale, guai se lo fosse. E’ un progetto molto più ambizioso che nasce da un accordo politico e che troverà la sua consacrazione nel momento elettorale, ma dovrà necessariamente svilupparsi dopo.” (Il Giornale, 11 febbraio)
L’entusiasmo a volte gioca brutti scherzi (“Ci siamo trovati d’accordo nel dire che per la prima volta poteva nascere un soggetto politico non calato dall’alto attraverso la scissione o la fusione di soggetti esistenti, ma dal basso, nelle urne”) (Il Giornale, 11 febbraio) e genera impulsi di ottimismo inimagginabili (“I nostri militanti hanno capito perfettamente la portata delle sfida del nuovo partito unitario”) ( Il Messaggero, 14 febbraio), accompagnati da improvvisi slanci di formale rispetto della volontà altrui e delle regole (“In autunno si terrà il congresso e stabiliremo le tappe e le regole che porteranno ad un soggetto unico. Lo scioglimento di AN passerà da quel congresso d’autunno. Ovviamente la stessa cosa dovrà fare anche Forza Italia”). (Libero, 16 febbraio)
Ciò nonostante, senza dubbi e senza remore, questo partito s’ha da fare. Tanto che il progetto PdL andrà avanti anche dopo le elezioni, qualsiasi sarà il risultato: “Un passo indietro sarebbe in ogni caso incomprensibile. Ci vogliono strumenti nuovi. Non a caso noi siamo il Popolo della libertà, non il partito. Il partito è uno strumento del secolo scorso, inadeguato alle nuove sfide”. (Il Giornale, 1 aprile)
Vedete cosa vuol dire avere nuovi impegni familiari, si pecca in distrazione. Sarebbe meglio che qualcuno dei suoi collaboratori gli ricordasse che il nome è stato scelto - lo scorso 2 dicembre - in un partecipatissimo 'referendum da gazebo', indetto tra gli aderenti (e adoranti) del famoso 'editto del predellino', enunciato in piazza San Babila dal Cavaliere: con il 63,14% fu bocciata la scelta di denominarlo Partito delle Libertà. Consultazione popolare, peraltro, alla quale AN ufficialmente non partecipò perché Gianfri era ancora offeso col Cavaliere. Ma sì, chi vuoi che si ricordi questi dettagli.
Comunque, non ancora convinto, ho cercato la soluzione in edicola da una fonte attendibile: “Area”, il mensile di riferimento di Gianni Alemanno. Proprio lui che si era fatto carico delle perplessità dell’ambiente con una coraggiosa dichiarazione a caldo: “Dopo le elezioni, qualsiasi ulteriore passaggio organizzativo, dovrà essere verificato e sancito attraverso un congresso nazionale di AN”. (Ottoemezzo / La7, 9 febbraio)
E’ bastato poco per capire meglio. Trascurabile, ma non troppo, l’intervista del senatore Marcello De Angelis al suo Presidente (mi ha fatto tornare in mente quella di Giovanni Minoli a Bettino Craxi...), invece sono stati i titoli dei due articoli politici ad illuminarmi: “Fini: Il domani appartiene a chi se lo va a prendere” (verrebbe da dire, il signore sì che se ne intende…), ma soprattutto “Un atto d’amore per l’Italia”, titolo dell’editoriale alemanniano. L’ex Ministro è stato esplicito nello spiegare che “gli uomini e le donne di An devono tirare fuori la loro parte migliore: il realismo, il senso di responsabilità e il radicamento nei valori e trasferirli all’interno del PdL.”, perentorio nel porre un monito (“guai, in questi momenti difficili, a pensare solo al proprio particolare…”) perché davanti al bene comune dell’Italia “si deve essere in grado anche di sacrificare sé stessi e i propri interessi particolari. Questa è l’idea con cui dobbiamo accostarci alla nascita del Popolo delle Libertà”.
Ho capito. Ora posso rinunciare ai fondi di caffè… Ma non al diritto di testimoniare col voto la contrarietà a questo sciagurato progetto monocratico, che testimonia come “in An l’esigenza di piazzare il proprio capo ha vinto definitivamente sulla libera circolazione delle idee” (Marcello Veneziani - Il Riformista, 19 febbraio).

mercoledì 9 aprile 2008

Dal contenitore al cassonetto il passo è breve….

Sin dal suo annuncio, lo spregiudicato progetto di bipartitismo concordato (recentemente proprio il Cavaliere, intervistato su Sky TG24, ha candidamente ammesso di aver condiviso l’idea proprio con Walter…) ha generato più di un sospetto. Non convinceva l’ipotesi di rendermi complice della nascita di uno scenario americaneggiante nel quale i due ‘partiti contenitore’ potessero conquistare oltre l’80% dei voti, arrivando ad un controllo assoluto del potere politico (e non solo..), saldamente consegnato nelle mani dei due leader e dei pochi fedelissimi sodali. Una vera oligarchia.
Al momento della composizione delle liste se ne sono viste delle belle. Nel ‘contenitore PD’ si trova l’operaio da 1.000 euro mensili (Boccuzzi) ed il capitalista milionario (Colaninno), la cattolica dotata di cilicio (Binetti) e la lesbica sponsor delle coppie gay (Concia), il sindacalista (Nerozzi) e l’economista nemico dell’articolo 18 (Ichino), il generale che non vuole omosessuali nell’esercito (Del Vecchio) ed il firmatario del patto elettorale con l’Arcigay (Scalfarotto). Nel ‘contenitore PdL’, il camerata non pentito (Ciarrapico) e l’antifascista intransigente (Nirenstein), la nipote del Duce (Floriani) e chi, a suo dire, verso il suo cognome da signorina aveva pregiudizi (Fini), un sostenitore per due anni del governo Prodi (Dini) ed il duo che ha brindato alla sua caduta con champagne e mortadella (Gramazio-Strano), il generale della Finanza (Speciale) ed un condannato per bancarotta fraudolenta (Cantoni), il produttore di film porno (Verde) e la portavoce del ‘’family day’ (Roccella).
Poi, al momento di esporre i programmi sono fioccate le stucchevoli accuse di plagio. Ancora oggi nei dibattiti e negli editoriali i notisti politici continuano a chiedere ed a chiedersi quali siano le differenze, senza essere riusciti ancora a dipanare la matassa ingarbugliata.
Quindi, il coro a due voci ha eseguito prima il motivo del ‘voto utile’, invitando gli elettori a votare per sé o per l'altro, poi quello del ‘voto disgiunto’, secondo un copione apparso ben scritto. Non è mancata la gara a chi la spara più grossa: “io voglio l’alzabandiera a scuola” ed “io l’inno nazionale ogni mattina”, “io ho le donne più brave e preparate” ed “io ho le più belle”, “io abolisco l’Ici” ed “io assicuro gratis le casalinghe”.
Considerando il numero elevato di elettori pensionati, a breve arriverà la promessa choc: “dentiera gratis per tutti”.
Dulcis in fundo, finalmente un po’ di scontro, anche se con qualche ritornello demodé: “tu comunista” e “tu antidemocratico”.
Era difficile prevedere che la cosiddetta ‘semplificazione‘ del quadro politico avrebbe portato ad abbattere maldestramente differenze, identità, storie culturali e politiche nazionali? Era impossibile immaginare che il futuro, considerate le premesse, profumasse di grande accordo, di larghe intese, di inciucio, di ammucchiata?
Quasi terminata la campagna elettorale, i sospetti sono ormai consolidati, portando ad una ferrea convinzione: non si tratta di due ‘partiti contenitore’, bensì di due ‘partiti cassonetto’, pronti a tutto pur di accaparrarsi quel voto in più che gli potrebbe consentire di vincere e di occupare.
Diventa necessario dare un segnale forte e ce n’è per tutti i gusti. Chi avesse tendenze sinistrose può individuare in Fausto la sua salvezza, per i dirimpettai destrorsi Daniela c’è. Se proprio gli estremi vi infastidiscono, tappatevi il naso (Montanelli docet) e cercate nella scheda Pierferdinando. Non sottovalutate la vostra azione: 'accidere ex una scintilla incendia passim'.

domenica 6 aprile 2008

Quale futuro per liquid...Azione Giovani?

Mentre tutti sono impegnati a godersi l’ultima settimana di campagna elettorale, la mente corre ad un aspetto dello scenario politico che avanza, finora sottovalutato e trascurato: il futuro di Azione Giovani.
Da sempre il mondo giovanile ha rappresentato una presenza importante nella destra politica italiana, caratterizzandosi per libertà d’azione, di pensiero e di proposta. Tanto che le organizzazioni giovanili che hanno ottenuto maggior successo hanno vissuto addirittura in autonomia dal partito, come la Giovane Italia ed il FUAN più del Fronte della Gioventù, o come alcuni gruppi nella cosiddetta destra radicale. I ‘giovani nazionali’ si sentivano legittimi eredi di un glorioso passato, forti della militanza, della passione per le idee, di una inconsueta capacità di traino e di novità, diventando avanguardia politica grazie anche alla freschezza, all’entusiasmo ed alla spregiudicatezza gentilmente offerte dall’anagrafe.
Invece, AG è apparsa vittima di un vizio d’origine, sin dalla sua nascita appiattita sulla struttura adulta ed appesantita da obblighi governativi, non riuscendo ad essere protagonista nella conquista del ‘pianeta giovani’, tanto meno a far emergere una classe dirigente all’altezza del compito, che si imponenesse come ricambio obbligato, almeno in concorrenza con gli ultimi arrivati pronti a salire sul carro del vincitore.
Eppure, all’indomani della ‘catarsi’ di Fiuggi, l’occasione era ghiotta. I giovani potevano rivendicare ed attrezzarsi per diventare il ‘fortino’ dei valori sacrificati sull’altare del bagno purificatore. Valori dimenticati, archiviati frettolosamente e strumentalmente con l’illusoria speranza di conquistare il consenso definitivo dei moderati. Invece, AG si è resa protagonista di un immobilismo inspiegabile, senza riuscire a diventare interlocutrice privilegiata di una generazione sempre meno succube della cultura egemonica, parolaia e ridondante della sinistra.
Gli ‘alleanzini’ si sono lasciati cloroformizzare dagli adulti, emulandoli negli aspetti più deteriori, appiattendosi sui vertici del partito, cedendo la propria indipendenza senza resistere, ottenendo in cambio isolati posti di potere o, peggio ancora, accontentandosi di recitare il ruolo di specchietto per le allodole all’interno delle liste. Spirito di emulazione tanto forte da assistere, prima dell’avvento dell’ ‘era giorgiana’, a strampalate soluzioni di compromesso (come dimenticare il ‘quadrumvirato giovanile’ rappresentativo delle correnti di AN?) che perpetuarono verso il basso infauste divisioni, blindando i giovani sotto la tutela dei capicorrente. Ennesimo riprova dell’irresponsabilità dei vertici nella gestione del mondo giovanile.
Una realtà che, per un già disorientato mondo giovanile, rischia di peggiorare nei prossimi mesi con la formazione del contenitore unico per adulti. La messa in liquidazione dell’identità porterà alla nascita di “Forza Giovani” o di “Azione Italia”? Potrà questo ibrido contenitore unico per giovani rappresentare l’avanguardia politica del PdL, rilanciare la battaglia culturale quale sano investimento per il futuro della Nazione, riconciliare il mondo giovanile coi valori della politica e con la storia patria? O si affiderà alle nascenti scuole berlusconiane al fine di sfornare i futuri dirigenti pidiellini?
Al momento, il clima favorisce solo cattivi pensieri. Spente le passioni, la realtà politica sembra volgere a passo spedito verso l'appiattimento, l'omologazione, all’insegna del siamo tutti sempre più uguali. Scenario che ai più appare ineluttabile, determinando rassegnazione, sfiducia e cinismo, anche dentro una comunità giovanile che avremmo voluto vedere reagire diversamente. Contro si sono levate solo poche voci di periferia, mentre al vertice erano troppo impegnati a conquistare i posti giusti nelle liste.
A febbraio, fiutata l’aria pesante, la Presidentessa si affettava a scrivere ai dirigenti nazionali e territoriali. Dopo aver ingenuamente ammesso la scarsa partecipazione nella nuova strada intrapresa (“La decisione di Gianfranco Fini di aderire al progetto del PdL…”), ha indossato la divisa da pompiere (“…impone anche ad Azione Giovani una riflessione approfondita, che tenga conto della realtà dei fatti e non si limiti ai semplicistici resoconti giornalistici e alle previsioni”) che però non legge le interviste finiane (“Allo stato attuale il Presidente di AN non ha annunciato alcuno scioglimento del Partito…”), dimostrandosi comunque ottimisticamente pronta al peggio (“…il nostro patrimonio e l’autonomia ci consentono di affrontare le novità politiche pensando ai nuovi soggetti politici in termini di contenuti e non di meri contenitori”).
Parlando di passione viene in mente Berto Ricci, fascista critico ed anticonformista, fulgido esempio di carattere, di coraggio civile, contro i pigri, i servi, i carrieristi, gli immobilismi, tanto da poter rappresentare un faro per ogni coscienza giovane. Nel lontano 1938 consigliava di “finirla col miracolismo dell'uno che pensa per tutti. Bisogna muoversi, sapere sbagliare, sapere interessare il popolo all'intelligenza. C’è una libertà da conquistare, da guadagnare, da sudare; libertà come valore eterno, incancellabile, fondamentale”.
Le sue parole indicano ‘ante litteram’ le pene di AN: “Gli eunuchi, i vili pigliaschiaffi disonorano il fascismo, gli adulatori lo avvelenano. Affogare nel ridicolo chi vede nella discussione il diavolo, chi non capisce la funzione dell'eresia, chi confonde unità e uniformità. E' necessario che ognuno di noi sappia essere severissimo con se stesso. E' una regola di vita e metodo d'azione che noi ci imponiamo, e che va dalla purezza del nostro vivere pubblico, alla semplicità dello stile, dalla dedizione intera all'Italia, alla infrangibile unità fra noi. E' il nostro fascismo; è, anzi, più brevemente, il fascismo. Disciplina vera e bella: non rinunziare mai alle idee, ma saper rinunziare sempre al tornaconto personale.”
Un modo autorevole di dettare norme di vita e di comportamento, accompagnate da un auspicio: “C'è in Italia un po' di gente, gente giovane, che non si sente nata a far da fedelissimo a nessuno; che saggia, sonda, sposta la visuale, rasenta a volte l'eresia, e preferisce lo sbagliarsi al dondolarsi tra gli agevoli schemi; che parla un linguaggio proprio, e ha proprie e ben riconoscibili idee; che considera il presente unicamente in funzione del futuro; che ha buone gambe e una tremenda voglia di camminare.”
La speranza per l’Italia è che nella comunità politica che milita a destra ci siano ancora giovani che abbiano questo tipo di gambe e sappiano scegliere verso quale obiettivo marciare.

(vignetta di Giampiero Scola)